Nella foto l'ingresso del carcere di Santa Maria Capua Vetere
Santa Maria Capua Vetere – È morto in cella a soli 35 anni, appena 24 ore dopo il suo arresto. Mamadou Sylla, cittadino senegalese residente a Casagiove e da anni integrato in Italia, ha trovato la morte nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Sul caso, che ha già sollevato interrogativi e richieste di trasparenza, indaga ora la Procura di Santa Maria Capua Vetere, che ha disposto l’autopsia per chiarire le cause del decesso.
Sylla, sarto presso la prestigiosa azienda Isaia&Isaia di Casalnuovo di Napoli, era stato fermato giovedì 25 settembre dalla Polizia ferroviaria di Caserta.
Secondo la ricostruzione degli agenti, il giovane – in evidente stato di agitazione – avrebbe aggredito un uomo sottraendogli il cellulare e, subito dopo, un’anziana. Nel tentativo di bloccarlo, tre agenti della Polfer avrebbero riportato lesioni.
Sylla è stato accompagnato all’ospedale di Caserta per le prime cure, poi condotto negli uffici della Polfer e infine tradotto nel penitenziario di Santa Maria Capua Vetere, dove poche ore dopo è stato trovato senza vita.
A rappresentare la famiglia è l’avvocata Clara Niola, che sottolinea la necessità di accertare la correttezza delle cure ricevute dal 35enne.
«I familiari sanno soltanto che a Mamadou sono stati somministrati dei farmaci a breve distanza – spiega la legale –. È fondamentale capire se quelle terapie fossero compatibili con le sue condizioni e se la loro somministrazione ravvicinata fosse realmente necessaria».
A far eco alla richiesta di chiarezza anche Mimma D’Amico, responsabile del Centro sociale ex Canapificio di Caserta, realtà che aveva seguito Sylla fin dal suo arrivo in Italia:
«Era riuscito a costruirsi una vita autonoma, con un lavoro stabile e una relazione con una ragazza italiana che oggi è sotto choc. È devastante pensare che in 24 ore tutto questo sia svanito. Vogliamo la verità».
La vicenda si inserisce in un contesto critico che da tempo riguarda la sanità nelle carceri campane. Proprio nei giorni scorsi, durante un’audizione in Senato, il garante dei detenuti della provincia di Caserta ha lanciato un nuovo allarme: mancano medici, psicologi e figure sanitarie fondamentali per garantire assistenza adeguata a una popolazione carceraria sempre più fragile.
Secondo i dati diffusi dal garante, nei principali istituti penitenziari della regione – tra cui Poggioreale, Secondigliano e Santa Maria Capua Vetere – il numero di professionisti sanitari è insufficiente rispetto al fabbisogno.
Le conseguenze ricadono sia sui detenuti con patologie croniche sia su coloro che, come nel caso di Sylla, presentano stati di agitazione o disturbi comportamentali che richiederebbero un monitoraggio medico tempestivo e continuo.
Il sovraffollamento, unito alla carenza di personale sanitario, alimenta così un rischio crescente di episodi drammatici. Le morti improvvise in cella, i suicidi e le emergenze non gestite in tempo utile sono il segnale di un sistema sotto pressione, incapace di garantire quello che dovrebbe essere un diritto fondamentale: la tutela della salute anche dietro le sbarre.
La morte di Mamadou Sylla non è soltanto una tragedia privata che lascia nel dolore la famiglia e la comunità che lo conosceva. È anche il riflesso di un problema strutturale che la politica non può più eludere. Le indagini dovranno chiarire se ci siano state responsabilità dirette o omissioni nelle cure prestate al 35enne.
Ma al di là delle aule giudiziarie, il caso riaccende il dibattito sul diritto alla salute nelle carceri italiane, in particolare in Campania, dove da anni il sistema penitenziario fa i conti con carenze croniche e condizioni di vita spesso incompatibili con il rispetto della dignità umana.
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E' triste che una vita sia finita cosi presto, solo 35 anni. Mi chiedo se ci sono state mancanze nella sanita penitenziaria e se le cure sono state adeguate. La questione della salute nei carceri è un tema serio.