Cronaca di Napoli

Napoli, accusata di aver bloccato il pronto soccorso: “Volevamo solo assistenza”

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Napoli -“Volevamo solo assistenza e un posto umanamente più adeguato alle gravi condizioni di salute di mia cugina dove poter attendere il nostro turno, invece è stata un’odissea che si è conclusa con una denuncia”. Una denuncia più veloce di un accesso alle cure.

Parla con rammarico Anna, la cugina della donna disabile di Melito che sabato scorso è stata denunciata dai carabinieri per interruzione di pubblico servizio al pronto soccorso del Cto di Napoli.

“Il nostro caso era solo un caso disperato che si è concluso a nostra insaputa con una denuncia” dice ricostruendo le fasi di ingresso in ospedale e quelle successive. La paziente – operata di tumore all’addome a febbraio scorso e successivamente costretta a subire l’amputazione della gamba sinistra – è arrivata in ospedale su indicazione del reparto oncologico del Pascale perchè aveva bisogno di una trasfusione di sangue.

“Nel weekend il Pascale non effettua trasfusioni – dice Anna – per cui dopo aver visionato l’esito delle analisi del sangue ci hanno inviato una email consigliando di andare in pronto soccorso per fare una trasfusione”.

Al triage la 47enne, malata e in sedia a rotelle per l’arto amputato, è stata registrata alle 15,49. Dopo aver guardato velocemente la cartella clinica e l’email dell’ospedale Pascale le è stato attribuito il codice giallo.

E’ a questo punto che è iniziata l’odissea. “Innanzitutto ci hanno detto che mia cugina doveva entrare in una prima sala d’attesa da sola, senza accompagnatori, ma per lei era praticamente impossibile spingere la carrozzina a causa di una trombosi della vena brachiale – racconta la cugina -, e inoltre ha bisogno di assistenza continua anche per andare in bagno. Per cui non potevo lasciarla da sola.

Ci hanno detto di aspettare in una sala dove c’erano molti altri pazienti nonostante mia cugina sia a rischio infezioni che possono essere fatali per lei”. Dopo le prime vicissitudini le due donne hanno atteso con pazienza che arrivasse il loro turno, nel frattempo, nonostante il primo accesso al triage non le sono stati misurati i parametri ed era sprovvista quindi di braccialetto.

Alle 20,30, dopo quasi cinque ore di attesa – in un pomeriggio di caldo infernale in un ambiente senza aria condizionata e senza assistenza medica – la paziente ha inscenato la protesta.

“Si è spostata con la sedie a rotelle davanti alla porta di accesso del pronto soccorso – dice la cugina – e ha minacciato di non far entrare nessuno. Era esausta dell’attesa e poco lucida. A quel punto sia le guardie giurate che gli altri pazienti in attesa hanno compreso la situazione e le hanno dato priorità nell’ingresso. Tutti si sono resi conto che era arrivata al limite ed hanno avuto pietà delle sue condizioni”.

Oltrepassata la porta la paziente ha urlato tutta la sua rabbia, quei pochi metri che avrebbe potuto percorrere cinque ore prima e che le avrebbero dato il sollievo di un ambiente più riservato e idoneo alle sue condizioni erano diventati il suo incubo.

“Non voleva la priorità su pazienti in pericolo di vita anche se le sue condizioni sono davvero gravi – racconta la cugina – voleva solo un posto riservato, protetto, come la sua situazione richiede in cui aspettare il suo turno. Ho cercato anche di calmarla ma ormai era al limite e ha avuto uno sfogo di rabbia, probabilmente era anche poco lucida visti i parametri bassi del sangue”.

Entrata nel Pronto soccorso del Cto, i medici l’hanno presa in cura e solo in quel momento le hanno misurato i parametri e messo il braccialetto.

“Stranamente quando la dottoressa l’ha visitata – racconta Anna – risultava che le avessero già misurato i parametri ma in realtà non lo hanno mai fatto tant’è che non le era stato applicato il braccialetto ospedaliero.

Alle 21 hanno cominciato ad occuparsi del suo caso. Medici e infermieri sono stati attenti e premurosi, le hanno prestato la massima attenzione e si sono resi conto della gravità della situazione”. Nel frattempo, al pronto soccorso sono arrivati anche i carabinieri allertati quando la paziente, facendosi scudo con il suo corpo martoriato, ha impedito per pochi minuti l’accesso alla sala di primo soccorso.

“I carabinieri hanno ascoltato mia cugina e il personale presente – dice Anna – poi sono andati via, ma non le hanno detto di averla denunciata per interruzione di pubblico servizio, tra l’altro in quei dieci minuti non è arrivato nessun codice rosso. Abbiamo saputo solo il giorno dopo della denuncia”.

Una situazione paradosso quella che si è verificata al Cto, con tempi di attesa lunghissimi anche per pazienti (in questo caso in codice giallo e in condizioni davvero estreme) che avrebbero bisogno di accoglienza immediata in ambienti consoni alle loro condizioni.

“Non era l’attesa la questione più critica – racconta Anna – ma le condizioni in cui era mia cugina. Era in una stanza senza aria condizionata, su una sedia a rotelle con una sindrome di ‘arto fantasma’ che le procurava dolori atroci, paziente oncologica sottoposta a chemioterapia, con un braccio che non poteva muovere per una trombosi.

Chiunque dopo cinque ore avrebbe perso la pazienza. In quelle condizioni, avremmo dovuto chiamare noi i carabinieri per farci prestare assistenza ma non è nella nostra indole creare problemi o pretendere corsie preferenziali. Mia cugina, già sopraffatta da una malattia che la sta logorando giorno per giorno, è arrivata al limite umano della sopportazione ed è andata in escandescenze”.

Alle 22, 30 quando è iniziata la trasfusione il ricordo di quelle ore infernali si è attutito. Due ore dopo, i medici le hanno dovuto somministrare potenti antidolorifici perchè la paziente era sopraffatta dai dolori per le condizioni in cui era stata dal pomeriggio.

L’odissea è finita all’alba quando – dopo circa 16 ore – è stata finalmente dimessa.

Il giorno dopo è arrivata la denuncia, più veloce di un accesso al pronto soccorso per essere visitata e curata. La vicenda della paziente di Melito riapre uno squarcio sulla questione della sanità in Campania con tempi di attesa lunghissimi nei pronto soccorso e sulla carenza di personale e posti letto. Una situazione che produce casi limite e paradossali come quello della 47enne costretta allo stremo per farsi curare e poi denunciata. Oltre il danno e la beffa.

RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo pubblicato da Rosaria Federico il giorno 11 Agosto 2025 - 17:35
Rosaria Federico

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Rosaria Federico

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