Padova. Lo screening dell’epatite C rappresenta “un lavoro importante: si è presa coscienza dell’opportunità concreta di stroncare l’infezione in Italia. Seppur con alcuni difetti, peraltro già noti, lo screening ha comunque l’obiettivo di arrivare all’eradicazione. Si sono scelte popolazioni target a rischio, come gli utilizzatori di sostanze o la popolazione carceraria, ed è stato fatto qualcosa che prima in Italia non era mai stato fatto. E i numeri di riferimento per lo screening sono molto ampi, nonostante si possa fare sempre di più”.
Lo puntualizza Miriam Lichtner, professoressa ordinaria di Malattie infettive alla Sapienza e primario del reparto omonimo all’ospedale Sant’Andrea di Roma, a margine dei lavori del 17esimo Congresso Nazionale ICAR (Italian Conference on Aids and Antiviral Research), in corso in questi giorni alla Fiera di Padova.
Nell’ambito dello screening, continua quindi Lichtner, “sono state trattate anche tante persone che non sapevano di avere l’infezione, la quale all’inizio, per tanti anni, si presenta in forma asintomatica. Per questo è molto importante fare informazione”.
A fianco del percorso di screening si inserisce il piano parallelo Fast-Track Cities, “più a livello di associazionismo, che — spiega la specialista in malattie infettive — mette insieme una bella rete dedicata ai migranti, in particolare, e alle popolazioni un po’ ai margini. Si tratta sempre di un quadro delicato, pur sapendo bene che le malattie infettive non derivano certo dai migranti, ad esempio”.
Ci sono Paesi che hanno endemie più alte, quindi serve in questo senso dare supporto nell’accesso alle cure, e proprio “per l’epatite C questo è stringente, visto che abbiamo una cura, molto concentrata nel tempo, che in pochi mesi arriva appunto ad eradicare completamente l’infezione, come mostrano anche le nostre esperienze a tema” nell’area di Latina, in particolare.
Condivide Annamaria Cattelan, professoressa dell’Università di Padova e direttrice della struttura complessa di Malattie infettive all’Azienda ospedaliera padovana, che “lo screening per l’epatite C è di estrema rilevanza, lo stiamo già facendo da alcuni anni a livello nazionale e anche qui in Regione Veneto”, dove tiene banco una campagna di sensibilizzazione ancora in corso.
Cerca di andare a scovare infezioni sommerse soprattutto in alcune fasce di popolazione, “come — riprende la professoressa — quella che ha fatto uso o fa uso di sostanze, quella che si trova in carcere o quella migrante, in condizioni particolari da un punto di vista sociale. Stiamo lavorando bene e riscontrando nuovi casi, che vengono presi subito in carico. È questo infatti un aspetto determinante: fare il test ha un grande valore, poi però deve seguire, nel caso, la possibilità di una terapia che permetta la cura e la guarigione dall’epatite C”.
In tutto questo spiccano iniziative di screening regionali o locali, appunto, come quella intitolata “Test in the City”, che tiene banco: “abbiamo la possibilità di portare avanti test gratuiti e anonimi per le infezioni sessualmente trasmesse”, a partire da epatite, Hiv e sifilide.
Conferma sul percorso Fast-Track City — e non solo — Paolo Meli, pedagogista della cooperativa Don Giuseppe Monticelli e coordinatore di Bergamo Fast-Track: “emerge un sold out o quasi dell’opportunità di screening, quindi diventa un problema quasi più di offerta che di accesso al servizio”.
L’analisi preliminare riguarda oggi fino a 2.000 persone testate nelle città coinvolte e, in attesa di ulteriori dati, parla di un’incidenza significativa. Si sfiora un 3% raggruppando epatite B, epatite C e Hiv, con un accento sulle persone che usano sostanze”, tornando in quest’ultimo caso ad aspetti storici che sembravano ormai appartenere al passato.
Articolo pubblicato il giorno 23 Maggio 2025 - 12:21