Napoli – Un presunto sistema criminale finalizzato a condizionare l’assegnazione di appalti pubblici tra Campania e Sicilia è al centro di un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.
Trentaquattro persone risultano indagate, a vario titolo, per reati che vanno dall’associazione per delinquere di tipo mafioso alla corruzione, passando per turbativa d’asta e riciclaggio.
Secondo l’ipotesi accusatoria, al vertice del sistema ci sarebbe Nicola Ferraro, 64 anni, di Casal di Principe, ex consigliere regionale e nome già noto alle cronache giudiziarie per una condanna definitiva legata al suo ruolo di referente del clan dei Casalesi, fazione Schiavone, nel settore degli appalti.
Per la DDA, Ferraro – anche durante il periodo di detenzione – avrebbe mantenuto un ruolo di primo piano nei circuiti criminali, diventando punto di riferimento per risolvere contrasti tra clan grazie al suo silenzio con la giustizia, che gli avrebbe garantito crescente prestigio nel mondo mafioso.
Dopo la scarcerazione, Ferraro sarebbe tornato a gestire un complesso sistema di relazioni con pubblici amministratori, imprenditori e organizzazioni mafiose, consentendo l’infiltrazione negli appalti in comuni del Casertano e in strutture sanitarie della Campania, con l’obiettivo di pilotare gare e proteggere imprese amiche da richieste estorsive.
Secondo gli inquirenti, avrebbe agito anche come mediatore con la mafia siciliana, in particolare con il clan Santapaola-Ercolano di Catania, per favorire l’aggiudicazione di appalti a imprese riconducibili al sodalizio etneo.
Nel mirino della procura sono finiti imprenditori, funzionari pubblici, amministratori locali, e anche Antonio Garofalo, 55 anni, rettore dell’Università Parthenope di Napoli, indagato per un appalto legato ai servizi di pulizia. Figurano inoltre diversi sindaci campani, tra cui Angelo Ciampi (San Giorgio del Sannio), Giuseppe Guida (Arienzo) e Luigi Grimaldi, ex politico di Frattamaggiore.
A Ferraro viene contestato anche di aver condizionato il voto libero e la formazione di alcune amministrazioni locali, grazie alla rete di contatti e all’influenza esercitata sul territorio.
L’inchiesta, ancora in fase preliminare, disegna un intreccio tra politica, imprenditoria e criminalità organizzata che avrebbe consentito l’alterazione di procedure pubbliche per favorire interessi privati e mafiosi, mettendo in discussione la trasparenza e la legalità in settori strategici per i cittadini.
Articolo pubblicato il giorno 26 Maggio 2025 - 19:54