Il pentito Antonio Iovine casero’ ninno ha rilasciato alcune interessanti dichiarazioni nel processo per le infiltrazioni nell’area Pip di Lusciano: “La gestione completa dell’azienda fino al sequestro era di Carmine Zagaria”
Il capo di imputazione del processo riguarda “L’interposizione fittizia aggravata di una azienda bufalina di Brezza, frazione di Grazzanise, intestata alla mamma del boss Michele Zagaria e gestita dalla famiglia Zagaria”.
Antonio Iovine è stato ascoltato come testimone nel processo per interposizione fittizia aggravata riguardante un’azienda bufalina situata a Brezza, frazione di Grazzanise, intestata a Raffaella Fontana, madre di Michele Zagaria, e gestita dalla famiglia Zagaria.
Il processo si sta svolgendo presso la prima sezione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta da Giovanni Caparco, con Francesco Maione e Patrizia Iorio come giudici a latere.
Il collaboratore di giustizia, interrogato dal sostituto procuratore della Dda, Ciro Esposito, ha rivelato l’esistenza di un sistema di connivenza con vari amministratori giudiziari.
In questo sistema, il curatore denunciava falsamente il furto di capi di bestiame, che in realtà venivano trasferiti dal boss noto come “Capastorta”. Il latte prodotto veniva venduto a un prezzo maggiorato, e la “differenza” serviva per pagare la tangente a Zagaria. In questo modo, i proventi del clan venivano riciclati attraverso la stessa azienda.
È stato ascoltato anche l’amministratore giudiziario che era in carica al momento del sequestro dell’azienda della famiglia Zagaria, avvenuto nel maggio 2020. L’amministratore ha evidenziato una situazione di promiscuità tra le due aziende riconducibili a Raffaella Fontana e Fernando Zagaria, quest’ultimo considerato un prestanome dal magistrato antimafia.
Inoltre, è stata sottolineata una “situazione di completa illegalità”. Il processo riprenderà nel mese di novembre con l’escussione dei testimoni della difesa.
Sotto accusa ci sono i fratelli del boss Michele Zagaria, Antonio e Carmine, l’amministratore giudiziario Aristide Casella, e i fratelli Antonio e Fernando Zagaria, omonimi e non parenti del boss, che avrebbero messo le loro aziende a disposizione della famiglia mafiosa.
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