Medico italiano a Gaza: ‘I miei colleghi sono zombie, i corpi non hanno identità’

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Roberto Scaini, medico italiano dell’organizzazione Medici Senza Frontiere (Msf), fornisce un vivo resoconto delle devastazioni che si registrano negli ospedali della Striscia di Gaza dopo quasi sei mesi di guerra. Parla di medici che si muovono “come zombie” per le corsie degli ospedali, mitigando la sofferenza insopportabile del malessere perché mancano garze, farmaci e anestetici. Scaini lavora all’ospedale di Al-Aqsa, nella parte centrale della Striscia.

Nei reparti sanitari, la scarsità appare in ogni angolo. A terra, i pazienti vengono salvati in condizioni inaffrontabili, con le sale di emergenza piene di corpi con scarse possibilità di ricevere le cure necessarie.

I medici lavorano incessantemente, denuncia Scaini, combattendo la stanchezza mentre cercano di fare quel poco che possono. Le testimonianze di feriti gravi privi di qualsiasi tipo di anestesia ci arrivano regolarmente.

La crudezza della situazione ricorda più un’antica battaglia medievale che un moderno conflitto. Israele sta conducendo un’operazione militare che si trasforma in un massacro spietato.

L’umanità sembra essere assente in questo “teatro di massacri” che è la Striscia di Gaza. Gli abitanti cercano di scappare dalla crudeltà di questa guerra e dalla desolazione, ma la loro fuga è inevitabilmente infrutta perché non possono lasciare la Striscia di Gaza.

    Scaini si trova in un’area della Striscia già invasa dall’esercito israeliano, dove le incursioni terrestri hanno susseguito i bombardamenti aerei. Ogni luogo, dagli edifici delle Nazioni Unite ai campi profughi e agli ospedali, è stato investito dal raid. Il medico fornisce un cupo ritratto delle circostanze nell’ospedale di Al-Aqsa, sostenuto da Medici Senza Frontiere, che è sull’orlo del tracollo.

    Dentro l’ospedale, centinaia di pazienti abbandonati in ogni angolo cercano rifugio. È complicato addirittura distinguere tra chi è vivo e chi no. Anche strutture come gli ospedali non sono risparmiate dalle aggressioni, con alcuni letteralmente rasi al suolo.

    La violenza del conflitto frantuma l’identità delle vittime, consegnando ai sanitari resti umani a malapena riconoscibili. La città di Deir el Balah è soffocata dalla presenza di persone che cercano di scampare alla distruzione.

    Vivono ammassati in tendopoli di fortuna, senza alcun luogo sicuro dove rifugiarsi. Persino la speranza sembra essere stata annientata insieme agli innocenti. La situazione è inimmaginabilmente cadente e spicca tra di loro la disperazione sul volto delle persone e dei bambini vaganti in cerca di aiuto.

     



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