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Uccise la sorella: massacrato di botte in carcere

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Alberto Scagni è stato brutalmente aggredito da due detenuti nella cella che condivideva con loro nel carcere di Sanremo.

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L’aggressione è iniziata con botte a mani nude, proseguita con uno sgabello e una sedia, tanto violentemente da causare la rottura delle ossa del viso di Scagni. Gli agenti della Penitenziaria sono intervenuti con la forza, impedendo che l’aggressione portasse alla morte di Scagni.

I due aggressori, detenuti maghrebini condannati per violenza sessuale e ubriachi a causa di una sostanza ottenuta dalla macerazione della frutta, sono stati fermati con l’uso della forza autorizzato dal magistrato di turno.

La vittima, Alberto Scagni, è stato condannato a 24 anni e 8 mesi di carcere per l’omicidio di sua sorella Alice, avvenuto nell’aprile del 2022. Secondo quanto riportato dai sindacati della Polizia penitenziaria, i due aggressori hanno prima isolato un altro detenuto nella cella e poi hanno iniziato a torturare Scagni con una lama.

L’aggressione è proseguita con colpi di uno sgabello e una sedia. Gli agenti, armati di scudi e manganelli, sono intervenuti per fermare l’aggressione, ma un agente è rimasto ferito con due costole rotte e 21 giorni di prognosi.

Alberto Scagni è stato trasferito in condizioni critiche in un pronto soccorso e successivamente operato nel reparto maxillofacciale dell’ospedale Borea di Sanremo, dove è attualmente in coma farmacologico in Rianimazione. I due aggressori sono stati arrestati per tentato omicidio e sequestro di persona, mentre la procura di Imperia ha aperto un fascicolo per gli stessi reati.

Questa non è la prima volta che Scagni subisce una brutale aggressione in carcere. Già in passato, a Marassi, era stato picchiato dal compagno di cella dopo aver appreso dei dettagli dell’omicidio di Alice Scagni.

La direzione del carcere aveva deciso di trasferirlo a Sanremo, in una sezione dedicata a detenuti che non dovrebbero rimanere a contatto con gli altri per la gravità dei loro reati. Tuttavia, rimane da capire perché, considerata la natura del suo reato e la precedente aggressione, non fosse stato collocato in una cella singola. Il suo avvocato, Mirko Bertoli, ha risposto: “Bella domanda, è quello che ci domandiamo tutti.”


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