IL PENTITO

Omicidio Gelsomina Verde, il pentito: “Doveva sembrare una rapina e invece…”

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Doveva sembrare una rapina, la morte di Gelsomina Verde, non un efferato omicidio di camorra, quale poi è stato, che avrebbe potuto aprire le prime pagine dei giornali.

A rivelarlo agli investigatori è Salvatore Tamburrino, uno dei sette collaboratori di giustizia che con le loro dichiarazioni hanno consentito alla Squadra Mobile di Napoli di individuare e arrestare Luigi De Lucia e Pasquale Rinaldi, altri due componenti del commando che la notte del 21 novembre 2004 ha brutalmente assassinato Gelsomina Verde.

Estranea alle dinamiche dei clan di Scampia e colpevole solo di essere la fidanzata di Gennaro Notturno, ritenuto uno dei protagonisti della scissione dal clan Di Lauro.

Tamburrino (che, dopo avere ucciso la moglie Norina Mattuozzo consentirà poi la cattura di Marco Di Lauro, preso dopo una lunga latitanza) parla di un summit risalente a qualche giorno prima dell’omicidio di Gelsomina, una riunione a casa di Cosimo Di Lauro, cui presero parte lo stesso Cosimo, i fratelli Marco e Ciro, e Giovanni Cortese.

“Ugo De Lucia (capo di uno dei gruppi di fuoco del clan Di Lauro) – dice Tamburrino – fece il nome di Gelsomina Verde in quanto aveva una relazione con Notturno Gennaro… dice che (lei) poteva dirci dove stava…”.

    “A questo punto – prosegue Tamburrino – Cosimo disse a Ugo ‘prendi questa ragazza e cerca di sapere quante più informazioni possibili su Sarracino (il soprannome di Gennaro Notturno)'”.

    Secondo quanto racconta il “pentito” la ragazza, però, “si doveva uccidere comunque, perché non avvisasse il fidanzato… Marco e Ciro Di Lauro si raccomandarono con Ugo De Lucia di non fare casino perchè era prevedibile che l’omicidio di una ragazza avrebbe fatto molto clamore sui giornali: ‘vedi tu – dissero i fratelli Marco e Ciro – non far capire che è un omicidio di camorra, spara un solo proiettile, fallo passare per una rapina”.

     “Marco Di Lauro si mise le mani nei capelli quando seppe che Gelsomina Verde era stata bruciata nella macchina”

    “Quando apprese la notizia al telegiornale che Gelsomina non solo era stata uccisa ma addirittura bruciata nella macchina – racconta ancora Tamburrino – Marco Di Lauro, in mia presenza, si mise le mani nei capelli. Mandò a chiamare Ugo De Lucia e gli disse: ‘che cazzo hai combinato? Ti avevo pure detto di non fare casino”.

    Fu Tamburrino a recarsi da Ugo De Lucia e lo trovò con i capelli rasati: “per colpa del cugino Luigi” , racconta il pentito. Quest’ultimo non si era accorto che Ugo era troppo vicino quando appiccò l’incendio della macchina dentro la quale c’era Mina già morta, “e le fiamme gli avevano bruciato i capelli e le sopracciglia”, costringendolo a rasarsi.

    Il capo della squadra mobile: “Tutti i Di Lauro responsabili morali della morte di Gelsomina Verde”

    “Responsabile della morte di Gelsomina Verde e’ l’intero gruppo criminale, l’intero clan Di Lauro. Ci saranno sicuramente altre posizioni ancora da definire, moralmente sono tutti colpevoli”, ha spiegato il capo della squadra Mobile di Napoli Alfredo Fabbrocini, dopo l’arresto di due presunti appartenenti al commando del clan Di Lauro che uccisero la 21enne il 21 novembre 2004 durante la prima faida di Scampia.

    “Il ruolo dei collaboratori giustizia Salvatore Tamburrino, Gennaro Notturno e Pasquale Riccio e’ stato fondamentale: le loro dichiarazioni sono state univoche, concordanti e ci hanno permesso di individuare i soggetti, questo e’ stato possibile grazie alla ricostruzione fatta ai tempi dell’omicidio. Quindi il loro apporto e’ stato fondamentale”.

    Il gip: “Gli indagati artefici di un male assoluto”

    “Si sono resi artefici di un male assoluto e irredimibile”, Luigi De Lucia e Pasquale Rinaldi, arrestati dalla Squadra Mobile di Napolo con l’accusa di avere fatto parte del gruppo di fuoco del clan Di Lauro guidato da Ugo De Lucia (cugino di Luigi) che la notte del 21 novembre 2004 ha brutalmente assassinato Gelsomina Verde, una ragazza di 22 anni estranea alle dinamiche dei clan di Scampia, colpevole solo di essere la fidanzata di Gennaro Notturno, ritenuto uno dei protagonisti della scissione dal clan Di Lauro che diede vita alla cosiddetta prima faida di Scampia.

    Lo scrive il gip di Napoli Marco Giordano nell’ordinanza con la quale accolto le conclusioni cui è giunta la Dda di Napoli (sostituto procuratore Maurizio De Marco) e disposto quindi due arresti in carcere.

    I due indagati hanno contribuito, secondo gli inquirenti e anche secondo il giudice, a sequestrare e uccidere “in modo vigliacco, subdolo, brutale e impietoso… una donna giovanissima, indifesa, innocente, estranea, in prima persona, alla contesa camorristica in atto… dando mostra di un’assoluta insensibilità etica…” e di “completo asservimento a logiche e dinamiche talmente aberranti da risultare maggiormente prossime a quelle proprie del terrorismo, più che a quelle, pur gravemente malsane ed inumane, della criminalità organizzata di stampo mafioso”.

    Per la Procura di Napoli, infatti, il modus operandi messo in campo dal clan Di Lauro in occasione della prima faida di Scampia aveva come obiettivo fare terra bruciata intorno agli scissionisti (i gruppi criminali Abete-Notturno, Abbinante, Marino e Amato-Pagano) minacciando la popolazione affinché non desse loro supporto e fornisse nel contempo tutte le informazioni possibili per stanarli dai loro rifugi.

    Dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Salvatore Tamburrino, infine, sembrerebbe che in quel periodo la gestione del clan Di Lauro fosse collegiale e non ascrivibile a un singolo esponente della famiglia malavitosa.

    Francesco Verde: “Eppure mia sorella non è riconosciuta come vittima innocente”

    “Mia sorella non è una vittima per caso, ma una persona che – nonostante i suoi 21 anni – ha avuto la forza di scegliere da che parte stare. Decise di non rilevare ai camorristi informazioni utili a portare avanti la loro folle guerra, prese le distanze dai clan, pagando con la vita la propria ribellione morale. Nonostante tutto ciò, non è ancora riconosciuta come una vittima innocente delle mafie”.

    Lo ha dichiarato Francesco Verde, fratello della operaia ammazzata dal clan Di Lauro, all’indomani degli arresti di due presunti responsabili dell’omicidio. Da anni, Francesco Verde si batte, assieme al suo avvocato Liana Nesta, per il riconoscimento di “vittima innocente” per la giovane di Secondigliano.

    (nella foto Gelsomina Verde al centro dei due assassini Pasquale Rinaldi e Luigi De Lucia)



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