Clan Senese, va ai domiciliari uno dei fedelissimi del boss

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La Corte di Appello di Roma, davanti alla quale pende il giudizio di secondo grado, investita dell’istanza di sostituzione della misura cautelare carceraria con quella degli arresti domiciliari, il 15 dicembre 2022, ha accolto le doglianze difensive proposte dagli avvocati Vincenzo Esposito e Cesare Placanica, disponendo la sostituzione della misura per Giovanni Giugliano.

In primo grado era stato condannato a 9 anni di reclusione, in concorso con altri imputati, per varie contestazioni di estorsione, autoriciclaggio e usura tutte aggravate dall’art. 416 bis 1 del codice penale.

Il collegio difensivo ha evidenziato come il quadro cautelare aveva già subito un consistente mutamento all’esito dell’annullamento in sede di riesame, anche sul disposto della Suprema Corte di Cassazione, di alcune ipotesi contestate di autoriciclaggio, estorsione e dell’aggravante dell’art. 416 bis 1 c.p.. Ad affievolire ulteriormente le esigenze cautelari è stata la fase dibattimentale dove è stata chiarita la posizione dell’imputato Giugliano Giovanni.



    Dopo la celebrazione del processo in primo grado, tutti gli imputati hanno presentato appello. Gli elementi probatori acquisiti in sede processuale, hanno consentito una svolta cautelare per molte posizioni con sostituzione della misura originariamente applicata.

    A seguito dell’inchiesta “Affari di famiglia” sul clan Senese, diretta dal Pubblico Ministero della DDA, nel luglio 2020 i militari del Nucleo Speciale Polizia Valutaria della Guardia di Finanza e personale della Squadra Mobile di Roma, con il supporto di altre unità operative del Corpo e della Polizia di Stato, diedero esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dal G.I.P. del Tribunale di Roma, nei confronti di 28 persone e a un sequestro preventivo di beni per circa 15 milioni di euro.

    I reati contestati, a vario titolo e in concorso, sono quelli di estorsione, usura, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego di proventi illeciti, con l’aggravante di aver agito con metodo mafioso agevolando la galassia criminale della camorra campana che, dalla terra di origine, si è delocalizzata, a partire dagli anni ottanta, anche nel Lazio e in altre regioni italiane.

    Dopo la celebrazione del processo in primo grado, tutti gli imputati hanno presentato appello. Gli elementi probatori acquisiti in sede processuale, hanno consentito una svolta cautelare per molte posizioni con sostituzione della misura originariamente applicata.



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