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Dalla tombola alle carte: i passatempi della tradizione napoletana

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Napoli è indubbiamente un posto dalla ricca storia artistica e da un folklore sempre accentuato. Che si tratti di cucina o intrattenimento, soprattutto, la fantasia dei partenopei sembra non avere limiti. Non a caso molti giochi praticati comunemente a Napoli si sono fatti conoscere anche a livello nazionale, talvolta superando i confini. Basti pensare alla tombola, elemento focale della tradizione natalizia, una sorta di lascito del Regno Borbonico. Stiamo parlando di uno dei più famosi giochi ad estrazione: 90 dischetti da estrarre da un “panariello” fatto di vimini e svariate cartelle sulle quali ricordare i numeri usciti. Non ci sono vere e proprie regole, i giocatori non possono cambiare l’esito della partita in base alla loro abilità e sono piuttosto i significati derivanti dalla Smorfia a colorare l’atmosfera attribuendo ad ogni numero un personaggio, un detto o una situazione curiosa del vissuto quotidiano.

La tombola nacque quando il re Carlo III di Borbone si scontrò con il frate domenicano Gregorio Maria Rocco in merito alla liceità del lotto, un altro gioco che andava per la maggiore nel regno e organizzato da privati sino al 1735. Il lotto fu sospeso durante le feste di Natale, di conseguenza i napoletani si arrangiarono inventandone una versione casalinga, che sarebbe poi divenuta la tombola. Ecco spiegato perché il gioco fa uso di cestini, fagioli o bucce di mandarini, oggetti di fortuna utili per lo svolgimento della partita e facilmente reperibili. A Napoli la credenza verso la buona sorte è notevole, per questo i giochi ad estrazione hanno successo e non è raro imbattersi in cornetti, amuleti portafortuna et similia tra le strade del centro storico, dove si respira ancora l’aria della città che fu.

Come non citare poi i giochi di carte realizzabili con i mazzi napoletani? Niente cuori, quadri, fiori o picche, ma solo denari, coppe, bastoni e spade per vivacizzare le partite a scopa, briscola, 7 e mezzo o 31. I semi delle carte regionali indicano alcuni strati sociali della popolazione, dai contadini ai commercianti. Le figure sono ritratte in abiti ottocenteschi e con lineamenti particolarmente aggraziati. Non mancano poi riferimenti interessanti come quello del 3 di bastoni, che reca al centro l’immagine del “gatto mammone”, impiegata come spauracchio in tempi antichi.

Dalla fusione tra la tombola e le carte napoletano è nato il Sinco, su idea del commerciante Emilio Salvatore. Un gioco di origine molto recente, datata 1983. Salvatore trovò l’ispirazione per il Sinco giocando a bingo mentre era in crociera, quando il bingo stesso non era ancora arrivato in Italia. Invece dei numeri, si usano proprio le carte. Il Sinco prevede l’utilizzo di un tabellone e di 10 cartelle, che indicano 25 carte ciascuna. Quando si realizza una combinazione tra quelle presenti sulle cartelle, vale a dire Centro, Poker, Angolo, Sinco e Rombo, si ottiene il premio corrispondente, analogamente a quanto succede nella tombola tra ambo, terno ecc.

Anche se non è nato a Napoli, anche il bingo stesso è comunque piuttosto diffuso tra i partenopei. D’altro canto, i giochi del genere hanno acquisito facilmente anche una controparte digitale, che ne ha favorito la diffusione. Tecnicamente, cambia solo la modalità di accesso al gioco: regole e premi del bingo online non differiscono da quelli delle partite dal vivo. Al contrario, i giochi di carte più tradizionali possono apparire in rete sotto forma di varianti più ricercate. La tradizione napoletana, tuttavia, riesce a resistere tranquillamente all’inerzia del tempo e a qualsiasi tentativo di innovazione tecnologica.


Articolo pubblicato da Erminia Iuliano il giorno 5 Aprile 2022 - 11:58

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