Napoli. “La malattia di Fabry è una malattia genetica considerata rara, anche perché probabilmente i pazienti non vengono riconosciuti, ed è legata all’X, quindi i maschi sono malati, ma almeno il 30-40% delle donne esprime sintomi importanti. È una patologia per la quale, paradossalmente, esistono farmaci che sono in grado di curare o contenere molto bene la malattia, mentre è estremamente complicato trovare I pazienti”.
Così alla Dire, Lorenzo Chiariotti, ordinario di patologia generale dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e responsabile del laboratorio di epigenetica del Ceinge. Al lavoro con lui in questa ricerca Teodolinda Di Risi, responsabile della fase analitica per le indagini diagnostiche e assegnista di ricerca.
“La malattia di Fabry – prosegue – riguarda un accumulo lisosomiale di sostanze tossiche in tutti i tessuti, in particolare rene e cuore. Questo significa che la maggioranza dei pazienti va negli studi di cardiologia, di nefrologia, o anche altri, ma è molto difficile da riconoscere: attualmente gli strumenti per i medici per riconoscere la malattia di Fabry sono pochi perché si confonde con tantissimi altri tipi di patologie”.
Il Ceinge, sottoscrivendo un accordo con la Takeda international, sta “producendo uno screening di tutti quei pazienti che hanno dei sintomi cardiologici o nefrologici che anche lontanamente possono far sospettare, tra le altre cose, questo tipo di malattia. Noi li analizziamo tutti per cercare di identificare più pazienti possibile a cui somministrare una terapia adeguata. Spingiamo tutta la collettività dei medici – rimarca Chiariotti – a chiederci questi kit in cui ci sono degli spot, dove mettere qualche goccia di sangue del paziente, e spedirli a noi al Ceinge dove, gratuitamente, faremo un’indagine genetica, enzimatica e di accumulo per stabilire se il soggetto ha o meno la malattia di Fabry”.
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