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E’ un passaggio intercettato dagli uomini della Direzione Distrettuale Antimafia riportato nel decreto di perquisizione e sequestro indirizzato ai 16 indagati nell’ambito dell’inchiesta “Domino Bis” che vede coinvolto il Clan D’Alessandro e il giro di estorsioni ai danni di imprenditori dell’area stabiese e limitrofa.
Antonio Rossetti e Liberato Paturzo che cercano il titolare di un’azienda che si occupa della produzione di cemento e non trovandolo fanno arrivare l’avviso attraverso un dipendente dell’impresa. Il fulcro dell’inchiesta è relativo alle estorsioni, sopratutto quelle relative ai lavori pubblici. E’ il caso anche di alcuni lavori di rifacimento di una piazza in centro a Castellammare di Stabia nel 2017 e che ha visto già la condanna di Daniele Imparato in primo e secondo grado.
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«Siete scostumati, iniziate i lavori senza chiedere il permesso… mi devi il 3% dell’importo dei lavori» manifestandogli l’intenzione di avere un incontro con il titolare della ditta altrimenti avrebbero dovuto lasciare il cantiere. E’ quanto riportato nelle circa 800 pagine dell’ordinanza cautelare firmato dal gip Fabrizio Finamore su richiesta del pm Giuseppe Cimmarotta. I ricavi delle estorsioni venivano reinvestiti nel giro dell’usura che moltiplicava le rendite. Contestualmente sono state sviluppate attività investigative anche sul profilo patrimoniale dei nuclei familiari riconducibili agli indagati in esito alle quali sono state riscontrate sperequazioni tra i redditi di ciascuno ed i beni o liquidità in possesso. Ed è per questo che sono stati sequestrati beni per oltre 6milioni di euro.
L’indagine Domino Bis, riferita ad un arco temporale che va dal 2017 al 2018, ha consentito di ricostruire l’articolazione criminale intorno alle figure di Sergio Mosca “O’ Vaccaro”, Giovanni D’Alessandro “Givannone” e Antonio Rossetti “O’ Guappone”,
reggenti ad interim del clan e componenti di un direttorio creato ad acta in assenza di appartenenti di rango della famiglia D’Alessandro, curando gli interessi della famiglia fino alle scarcerazioni eccellenti sopraggiunte nel periodo successivo. La meticolosa attività investigativa ha documentato proprio una serie di estorsioni poste in essere dal clan D’Alessandro nel suo capillare controllo del territorio, avvalendosi del braccio armato costituito da Antonio Longobardi “Ciccillo” e Carmine Barra ritenuti essere anche i custodi dell’arsenale del clan che non veniva tenuto in un unico luogo di custodia ma parcellizzato in punti diversi e noti solo agli stessi per eludere i sequestri.
Sergio Mosca, “O’ Vaccaro” voleva uccidere il pentito Francesco Belviso (poi morto in carcere due anni fa per una grave malattia) e per questo avevano delegato Umberto Cuomo a scoprire il nascondiglio segreto. Non solo, il clan si serviva anche di Liberato Paturzo, detto Cocò, imprenditore edile a completa disposizione del sodalizio mediante partecipazioni ad appalti pubblici, informazioni su aggiudicazioni di pubblici incanti, segnalazioni di imprenditori da avvicinare per l’imposizione del racket. (emidav)
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