Gli ultrasettantenni condannati a una pena detentiva potranno essere ammessi alla detenzione domiciliare anche se dichiarati recidivi: con una sentenza odierna della Corte costituzionale cade infatti la preclusione assoluta stabilita nei loro confronti dall’ordinamento penitenziario. Sara’ compito della magistratura di sorveglianza valutare caso per caso se il condannato sia in concreto meritevole di accedere a questa particolare misura alternativa alla detenzione, tenuto conto anche della sua eventuale residua pericolosita’ sociale.
Con la sentenza di oggi (scritta dal giudice Francesco Vigano’), la Consulta ha dichiarato incostituzionale il divieto assoluto di accedere alla detenzione domiciliare stabilito per gli ultrasettantenni condannati con l’aggravante della recidiva, in base a quanto articolo 47-ter, primo comma, della legge sull’ordinamento penitenziario. I ‘giudici delle leggi’ ricordano che “la detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni e’ ispirata al principio di umanita’ della pena, sancito dall’articolo 27 della Costituzione”.
La misura, spiega Palazzo della Consulta, si fonda su una duplice presunzione: da un lato, il legislatore presume una “generale diminuzione della pericolosita’ sociale del condannato anziano, che quindi puo’ di regola essere contenuta adeguatamente imponendogli la permanenza nel domicilio, secondo le prescrizioni del giudice e con i dovuti controlli”, dall’altro, “appare verosimile” che “il carico di sofferenza associato alla permanenza in carcere cresca con l’avanzare dell’eta’, e con il conseguente sempre maggiore bisogno, da parte del condannato, di cura e assistenza personalizzate, che difficilmente gli possono essere assicurate in un contesto intramurario, caratterizzato dalla forzata convivenza con un gran numero di altri detenuti di ogni eta'”.
Per questo, la Corte ha evidenziato “l’anomalia” della disposizione esaminata, che e’ l’unica, nell’intero ordinamento penitenziario, che fa discendere conseguenze radicalmente preclusive di una misura alternativa a carico di chi sia stato condannato con l’aggravante della recidiva. In tale quadro, e’ vero che il riconoscimento della recidiva non discende “automaticamente” dalla circostanza che l’imputato sia gia’ stato condannato per un precedente reato, ma comporta un “giudizio individualizzato” di maggiore colpevolezza e pericolosita’ del reo, ma la Corte ha osservato che tale giudizio “e’ formulato unicamente ai fini della quantificazione della pena da infliggere”, e dunque “non e’ ne’ attuale ne’ specifico rispetto alle ragioni che potrebbero giustificare l’esecuzione della pena in detenzione domiciliare”.
Tra queste ragioni spiccano, in particolare, “i cambiamenti avvenuti nella persona del reo, e l’eventuale percorso rieducativo in ipotesi gia’ intrapreso” dal condannato dopo la sentenza, compreso il tempo gia’ trascorso in carcere, nonche’ la maggiore sofferenza determinata dalla detenzione su una persona di eta’ avanzata. La preclusione assoluta stabilita dalla norma e’ stata pertanto ritenuta “irragionevole” dai giudici costituzionali, “anche in rapporto ai principi di rieducazione e umanita’ della pena”, in linea con la giurisprudenza che considera contrarie agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione le preclusioni assolute all’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione.
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