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Castellammare. Clan Cesarano: il Riesame scarcera Pietro Del Gaudio e Luigi La Mura, detto “Gigino Diabolik”. I due presunti esponenti della cosca di Pompei-Castellammare, difesi dall’avvocato Massimo Autieri, erano stati arrestati il 12 novembre scorso su richiesta della Dda napoletana, a seguito di indagini eseguite dalla Guardia di Finanza di Napoli. I giudici della 12esima sezione del Riesame di Napoli hanno accolto la tesi della difesa che ha sostenuto non essere attuali le esigenze cautelari a carico dei due, sostenute dal gip nell’ordinanza cautelare a loro carico. Infatti, l’antimafia addebita a Del Gaudio e La Mura episodi estorsivi risalenti al 2014, ben cinque anni fa. La difesa ha anche puntato sulla ‘indeterminatezza’ del ruolo avuto dai due nell’ambito degli episodi contestati e che gli sono valsi gli arresti domiciliari. Il Riesame ha ritenuto valida la tesi dell’avvocato Massimo Autieri ed ha revocato l’arresto per entrambi gli indagati ritenendo non sussistenti le esigenze cautelari a loro carico. Del Gaudio e La Mura erano finiti nel maxi blitz della Finanza che aveva portato in carcere e ai domiciliari 20 persone ritenuti esponenti di spicco e gregari del clan Cesarano, operante soprattutto nei comuni di Castellammare di Stabia, Pompei, Santa Maria La Carità e Scafati.
L’inchiesta era partita nel 2014 allorquando, in concomitanza dell’arresto di Nicola Esposito detto “o’ mostr”, la leadership del gruppo criminale, venne assunta Luigi Di Martino, alias “o’ profeta”, oggi recluso al “41-bis”, che in quel frangente era tornato in libertà dopo una lunga detenzione.
A denunciare la cosca fu, per primo, un imprenditore di Castellammare di Stabia operante nel settore delle “slot machines”, vennero così ricostruiti alcuni episodi estorsivi ai danni di numerosi imprenditori e il nuovo organigramma della cosca. Tra i promotori del clan, secondo l’antimafia, oltre a Di Martino c’erano Giovanni Cesarano detto “Nicola” e Aniello Falanga, che, mediante minacce e violenze, obbligavano decine di imprenditori a versare periodicamente il “pizzo”, oltre che ad imporre il noleggio di “slot machines”, i cui proventi confluivano nella casse del clan per sostenere le famiglie storicamente affiliate, servivano per pagare gli stipendi agli organici e venivano reinvestiti in altre attività illecite.
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