Avellino. Attentati, incendi e intimidazioni: il nuovo clan Partenio di Avellino aveva come riferimenti personaggi della politica e dell’imprenditoria. E’ questo quanto emerge dall’inchiesta che stamane ha portato all’arresto di 23 persone, 18 in carcere e 5 ai domiciliari, accusate a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso, usura, estorsioni, detenzione di armi. Altre 17 persone sono invece indagate per associazione mafiosa, scambio elettorale politico-mafioso, turbata libertà degli incanti, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio. Nell’inchiesta è indagato anche Sabino Morano, imprenditore, segretario della Lega per la provincia di Avellino, la cui abitazione è stata perquisita al pari di altre 19 residenze private e studi professionali. Ad agosto l’uomo politico era stato fatto oggetto di intimidazioni attraverso l’incendio di alcune auto di sua proprieta’ parcheggiate sotto casa. Nei suoi confronti si ipotizzerebbe l’ipotesi di scambio politico-elettorale mafioso.
Un clan che non disdegnava tutti i rituali mafiosi a partire dal bacio sulle labbra prima di mettere a punto le strategie criminali che venivano programmate in pieno centro ad Avellino. La scena, registrata per la prima volta il 7 settembre del 2017 dalle telecamere degli investigatori, si ripeteva puntualmente ad ogni successivo summit del gruppo che aveva ricostituito il clan Partenio sulle ceneri di quello comandato dalla famiglia Genovese, decapitato nel corso degli anni da inchieste e arresti della Dda. Il “Nuovo clan Partenio”, come lo hanno definito gli inquirenti, in parallelo con usura, estorsioni, traffico di droga, si avvaleva di un braccio economico-finanziario che aveva come riferimenti personaggi della politica e delle professioni. L’inchiesta è nata nel 2017 in seguito alle dichiarazioni rese da Francesco Vietri, condannato il 27 settembre scorso all’ergastolo per omicidio ed è stata accelerata da una serie di allarmanti episodi avvenuti ad Avellino nelle scorse settimane: anzitutto l’ordigno esploso nell’auto di Sergio Galluccio, imprenditore della ristorazione, a sua volta zio di uno degli arrestati, Elpidio Galluccio. A pochi giorni di distanza vennero colpite da sventagliate di mitra le auto dell’ex consigliere comunale della Lega, Damiano Genovese, e di suoi familiari. Genovese è il figlio di Amedeo, che sta scontando l’ergastolo al 41bis, considerato il fondatore insieme al cugino Modestino del vecchio clan camorristico. L’escalation si concluse con l’aggressione all’assessore alla Sicurezza del Comune di Avellino, Giuseppe Giacobbe. Particolarmente fiorenti i profitti che il clan ricavava dall’usura (un milione di euro da 14 episodi accertati) e dalle estorsioni, almeno sette, due delle quali a danno di imprese edili. I carabinieri hanno anche sequestrato due autorimesse, un lavaggio, due società di costruzioni e diversi conti correnti bancari. Notificati anche avvisi di garanzia e decreti di perquisizione per scambio elettorale politico-mafioso, tra gli altri a Damiano Genovese, figlio del boss Amedeo Genovese. I finanzieri hanno anche perquisito, alla presenza dei pm Rossi, Landolfi, Woodcock e Fratello, diversi studi legali alla ricerca di documentazione utile a dimostrare il reato di turbativa d’asta nel settore immobiliare a carico del gruppo camorristico Forte.
Il premier Giuseppe Conte, che oggi ad Avellino ha commemorato a cento anni dalla nascita l’ex ministro Fiorentino Sullo, si è complimentato per l’operazione: “E’ davvero una bella notizia, gli arresti sono il segno tangibile del grande e straordinario lavoro che le forze dell’ordine mettono in campo, in silenzio, ogni giorno, colpendo il crimine organizzato. Il Governo non abbassa mai la guardia. La lotta alla camorra è e deve essere quotidiana e costante”.
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