Pompei Scavi dice addio al paesaggio storico?

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La notizia del Tesoro degli amuleti della ignota fattucchiera – chiamiamola così subito per capirci tra noi non addetti – è stata poi rapidamente sostituita dall’accensione di un altro bengala mediatico. E’ la notizia del ritrovamento di un altro “tesoro”, come un po’ enfaticamente titola la solita grande Stampa accreditata a innesto diretto.
Si tratta di un pezzo di “gronda” di un compluvio a forma di maschera teatrale. Per intenderci tra non addetti: una particolare tegola di raccolta dell’acqua piovana. Essa è sicuramente gradevole, senz’altro significativa, ma non proprio una eccezionalità in termini di valore e di pregio. E così, in qualche giorno si sta già spegnendo l’eco del ritrovamento. Abbiamo dunque motivo di pensare che stia per accendersi qualche altro bengala…. Puo’ darsi che esso preceda l’uscita di questo articolo; ma non sarebbe un problema. Non viviamo con gli annunci.
E i problemi della quotidianità degli Scavi di Pompei non brillano alla luce dei bengala estivi. E neppure per gli effetti mediatici delle news diffuse sui Media o sui Social. Il quotidiano è vita reale che scorre.
Nel Parco Archeologico sussistono alcuni problemi cronici – irrisolti o solo parzialmente risolti – sotto gli occhi di tutti. Non ci riferiamo alla raccolta di mozziconi di sigarette curata dal bambino, per la quale nutriamo più di una perplessità, riguardo al fatto in sé e al rilievo che gli ha dato certa stampa.
Pensiamo piuttosto alle file per il biglietto di ingresso… che mettono a dura prova la disperata resistenza sotto il sole cocente dei malcapitati amanti del mito di Pompei. Qualcosa, poco, è stato fatto. Eppure, ci sono sul mercato informatico numerose soluzioni agevoli. Ma vanno valutate, volute e adottate, se necessario, di intesa con gli organi centrali. Pompei é in sé speciale.
E ormai l’Autunno è alle porte, con gli allagamenti abituali di Piazza Porta Marina Inferiore causati dalla pioggia. Qualcosa, poco, è stato fatto. Eppure gli allagamenti e le pozzanghere nei giorni di pioggia danno ancora oggi il benvenuto ai turisti, a tutti i turisti, che poi si dividono tra Porta marina e Porta di Stabia. E quest’ultima li accoglie con la Pineta demaniale, che già definimmo con irriverenza “Pineta Spennacchia”. Oggi dovremmo dire seriosi: la ex Pineta Demaniale. Sappiamo che essa è aggredita da un insetto – una sorta di sputacchina – che è il nemico numero uno dei Pini mediterranei che componevano la Pineta, ormai ex. E così la ex Pineta per questo motivo si va “spennacchiando” sempre di più. E’ nota però la causa “fatale”.
Noi quindi dubitiamo che la permanenza in sito degli esemplari morti sotto l’attacco dell’insetto sia opportuna. Pensiamo che il focolaio infettivo – se ci assiste la logica – così si alimenta.
Cosa si aspetta per eradicare e portar via gli esemplari infetti?
Insomma, Pompei ha bisogno di cure manutentive quotidiane, piuttosto che di Scoop. Ma che almeno si faccia l’uno e l’altro! Qualcuno si scorci le maniche e si sporchi le mani con l’impegno quotidiano di cui Pompei necessita.
Per l’ordinario non si possono aspettare i lavori della Buffer Zone!
Essi comunque cambieranno fortemente – forse stravolgeranno – la visione del fronte meridionale degli Scavi di Pompei su Via Plinio, come storicamente si era consolidata. La Pineta, piantumata nell’immediato dopoguerra da Amedeo Maiuri, la caratterizzava infatti da circa un settantennio.
Ancora più antiche erano le dignitose, sebbene malridotte “case demaniali” di Viale S. Paolino. Esse connotavano e delimitavano il tracciato della vecchia Via Regia delle Calabrie, voluta dal Re di Napoli Gioacchino Murat.
Ebbene, il loro recupero è stato offeso dalla edificazione dell’archeomostro di Porta di Stabia. A nostro modesto avviso illegittimo perché sorto in zona di Protezione Integrale del Piano Paesistico dei Paesi vesuviani. Quindi tecnicamente abusivo. E non solo tecnicamente. Ma non è questo il vero problema. E’ un altro: si è stravolto così per sempre il paesaggio storico degli Scavi di Pompei. Quali i rimedi? E quando?
Lo stesso paesaggio già aveva sofferto le ferite mortali inferte da due Capannoni “demaniali” rugginosi di acciaio Cortèn edificati a poca distanza da Porta di Stabia e visibili chiaramente dalla Via Plinio della Città nuova.
Una sfregio al paesaggio naturale e a quello storico. Uno sfregio anche ai Pompeiani moderni. La “loro” Città antica in effetti offre il peggio di sé alla Città moderna e ai turisti che vi si avventurano. Senza se e senza ma.
La vulgata archeologica racconta che il pregio dei capannoni pare risieda nel fatto che essi – ubicati in piena area archeologica – non hanno fondazioni profonde. Ma i capannoni sono in piedi da ben oltre un decennio. E’ l’italica attitudine ad eternizzare la temporaneità. Ma il danno causato dalla violazione prolungata del paesaggio qualcuno lo ha valutato?
E ci fermiamo qui, per carità di patria senza allungarci intorno al perimetro dell’area demaniale degli Scavi di Pompei. Ci saranno altre occasioni.
Ribadiamo però che il paesaggio storico e non è “ demaniale”, ma è piuttosto della Collettività. E’ dunque cosa più generale e nobile.
Non per caso Pompei antica e tutti i suoi valori, anche immateriali – non solo i suoi reperti – appartengono al Patrimonio mondiale riconosciuto dall’UNESCO. Altro che Buffer Zone !!!
Pompei andava di più e meglio rispettata. Noi non accettiamo di dire addio al suo paesaggio storico e non ci accontentiamo degli Scoop mediatici.
Di questo passo la “Pompei che fu” sarà presto visibile soltanto sui media e sui social. O nelle Proiezioni 3D al chiuso della sala Congressi del costruendo Maximall di Torre Annunziata, ove si macinerà Turismo 2.0.
Il rischio che si corre è in ogni caso concreto.
Ambiente, Natura, Storia e Archeologia a Pompei Scavi avevano formato – fondendosi insieme armoniosamente – un enorme valore di Storicità di accumulo. La Storicità fuori di se’ che per primo Cesare Brandi individuò per i Beni Culturali. Come dato valoriale irrinunciabile. Da tutelare ut sic.
Esso andava rispettato anche a Pompei Scavi. Non lo si è fatto. Il danno andrebbe apprezzato e risarcito attraverso il ripristino dei valori distrutti. Senza se e senza ma, anche stavolta.
Questo è l’appello che parte dalle colonne di questo giornale.

Federico L.I. Federico


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