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Napoli, ecco come ‘lavorava’ la gang delle truffe agli anziani. Il ruolo delle donne. Il capo era Enrico Lettieri o’ nano. TUTTI I NOMI

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Ammonta a circa 200mila euro, tra gioielli e denaro, la refurtiva recuperata dai carabinieri di Siena in oltre 50 episodi di truffa ai danni di anziani avvenuti in gran parte del centro Italia e che ha portato a sgominare una banda criminale con base a Napoli. L’operazione ‘Vulturius’, che ha visto l’impiego di oltre 100 militari dei comandi di Siena, Napoli, Milano, Brescia, Rimini e Pistoia, e’ stata illustrata oggi nella città del Palio. Undici dei dodici provvedimenti cautelari, emessi dal gip del tribunale di Siena sono stati eseguiti tra Napoli e Milano. Uno dei malviventi e’ ancora latitante. Sette le misure cautelari in carcere, tre ai domiciliari e due obblighi di dimora. Nel corso dell’operazione sono stati effettuati altri sei arresti in flagranza. Perquisizioni anche a Brescia, Rimini e Pistoia. I reati contestati vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla truffa o all’estorsione, alla truffa aggravata; dal favoreggiamento personale o reale alla ricettazione. In carcere sono finiti Enrico Lettieri , 33 anni detto o’ nano che era il capo della gang, Giuseppe Mosca, 46, il padre Gaetano di 70 anni, Antonio calce di 22 anni, Pietro Grimaldi di 48 anni e Savatore Salvitti di di 49 anni. Agli arresti domiciliari invece Ciro Vitrano di 63 anni, Ciro Salvitti di 27 anni e Immacolata Martinez di 42 anni.Obbligo di residenza invece per Francesco Maddaloni di 24 anni e patrizia Ricci di 62 anni. Latinate invece è un 24 enne. Indagati infine Ciro Zaza di 45 anni, Clementina Mottola di68 anni, Fortunato Maddaloni di 64 anni, Saturno Tortiglione di 58 anni, Nicoletta Fucci di 39 anni e Anna Quotidiano di 33 anni.

Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Siro De Flammineis, sono partite ad agosto scorso da alcuni episodi di raggiro avvenuti a Siena. I militari hanno individuato anche un importante canale di ricettazione in un appartamento di Milano. A Napoli c’era una ‘centrale telefonica’ che, attraverso l’utilizzo di schede telefoniche intestate a cittadini pakistani, individuava gli anziani da raggirare. I criminali, spacciandosi per carabinieri o avvocati, raccontavano che un parente dell’anziano era coinvolto in un grave sinistro, che aveva ucciso una persona, rischiando di andare in carcere e che occorreva provvedere a pagare un primo risarcimento dei danni per evitare il carcere. Ottenuta la disponibilità delle vittime, la banda inviava un ‘corriere’, spacciato per avvocato, a casa degli anziani, per lo più donne, dove recuperava denaro, gioielli e qualunque valore fosse presente in casa. Gli anziani veniva invitati a contattare il 112 per avere conferma di quanto accaduto. Al numero indicato rispondeva un complice che confermava la falsa versione dei fatti. I telefonisti riuscivano, durante la conversazione, a farsi dire il nome di figli dagli anziani stessi, utilizzandoli per impressionarli maggiormente. Al trasfertista veniva pagato il viaggio di andata e ritorno da Napoli con treno e, raggiunta la meta, anche il taxi solo per l’andata. Una volta raccolto il bottino, rientrava a Napoli o raggiungeva Milano per piazzare la refurtiva a dei ricettatori. Ai trasfertisti veniva riconosciuta una quota per il lavoro svolto. La banda e’ accusata anche di aver realizzato truffe ad attivita’ commerciali, alle quali veniva offerta la vendita di pepite e lingotti d’oro falsi.

Gli imbonitori, spacciandosi per carabinieri o avvocati, raccontavano che un prossimo congiunto dell’anziana donna era incorso in un grave sinistro, che magari aveva ucciso una persona, rischiando di andare in carcere e che occorreva provvedere a pagare un primo risarcimento dei danni per evitare il carcere. Ottenuta la disponibilità delle vittime, i malfattori inviavano il ‘trasfertista’, spacciato per avvocato, presso i domicili degli anziani dove recuperava denaro, gioielli e qualunque valore la poveretta tenesse in casa. Le vittime erano prevalentemente donne. Il raggiro si arricchiva talvolta di un ulteriore elemento. Il telefonista suggeriva alla vittima di chiamare il 112 per avere contezza dei fatti e fingeva di interrompere la conversazione. Alla chiamata successiva dell’anziana donna al numero di emergenza indicato, rispondeva lo stesso interlocutore iniziale o un suo complice, confermando le false storie precedentemente narrate e confermando così nella persona ingannata la convinzione di dover pagare quell’avvocato, che sarebbe passato a ritirare il denaro o i valori destinati al presunto risarcimento, pur parziale, dei gravi danni cagionati dal congiunto della vittima. I telefonisti erano così abili da riuscire a farsi dire il nome del figlio dall’anziana madre ed utilizzarlo per impressionarla maggiormente, ripetendolo con frequenza. Al ‘trasfertista’ veniva pagato il viaggio di andata e ritorno da Napoli con treno e, raggiunta la meta, anche il taxi solo per l’andata. Questi in genere, una volta raccolto un consistente bottino, rientrava a Napoli o raggiungeva Milano per piazzare il maltolto a dei ricettatori, oppure rendere agli stessi organizzatori del traffico quanto rimediato. Ai trasfertisti veniva riconosciuta una quota minore del bottino, in relazione all’opera svolta e al rischio corso. L’atteggiamento dei capi era particolarmente severo, gli ordini non ammettevano deroghe o contestazioni, pena l’immediato licenziamento. I corrieri si dimostravano particolarmente remissivi e sottomessi nei confronti di chi procurava loro un lavoro, sia pur illecito. Un’ultima annotazione: la banda osservava il criterio della settimana corta, sabato e domenica non si lavora.

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