Il procuratore De Raho su Rai Uno: ‘Molto grave l’episodio di Castellammare. I pentiti sono un’arma per riaffermare la legalità’

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Quello di Castellammare di Stabia è sicuramente un episodio “molto grave” che dimostra come interi quartieri sostengano “coralmente” l’odio verso i collaboratori di giustizia, “un’arma per riaffermare la legalità”. Lo ha detto il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, ospite di “Che tempo che fa” su RaiUno. Nella città campana considerata roccaforte del clan D’Alessandro, la scorsa notte è apparsa la scritta “Così devono morire i pentiti, abbruciati” su uno striscione accanto a un falò, dove è stato bruciato anche un manichino. Poi è stato dato fuoco alla catasta di legna, al fantoccio e allo striscione, il tutto accompagnato dagli applausi di una piccola folla di persone. “E’ sicuramente molto grave quello che è avvenuto, dimostra evidentemente come determinati orientamenti di censura, o addirittura odio, nei confronti di collaboratori di giustizia siano sostenuti coralmente da un intero quartiere, o comunque da gran parte delle persone che vi abitano”, ha detto Cafiero de Raho nell’intervista con Fabio Fazio, “Perchè è evidente che annotare su quella catasta di legno, su quel fuoco, una frase come quella significa che vi è un grande consenso in quel quartiere verso la camorra. Soprattutto vi è insofferenza nei confronti di coloro che consentono di illuminare quella che è l’organizzazione camorrista dall’interno, che consentono l’individuazione dei responsabili e degli affiliati”. “Proprio quei collaboratori di giustizia che oggi ci consentono di conseguire grandi risultati, perchè è vero che essi – insieme agli strumenti delle intercettazioni ambientali e telematiche, perchè ormai per telefono camorristi, mafiosi e n’dranghetisti non parlano più – rappresentano l’unica fonte di prova”, ha aggiunto il procuratore nazionale antimafia, “Questa insofferenza si manifesta soprattutto laddove, come nel caso di Castellammare di Stabia, ci sono operazioni della magistratura e delle forze dell’ordine (c’erano stati arresti di circa quindici uomini affiliati all’organizzazione dei D’Alessandro)”. E dimostra, ha concluso, che “i collaboratori di giustizia sono effettivamente un’arma per riaffermare la legalità”.


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