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All'imprenditore, in particolare, si contesta di non aver rispettato le norme sulla sicurezza sul lavoro, omettendo di far sottoporre il bracciante a visita medica, tralasciando di allestire nei pressi dei campi un presidio medico di primo soccorso, di distribuire dispositivi di protezione individuale (cappelli, scarpe e guanti), di fornire acqua potabile affinchè i lavoratori si dissetassero. Sia all'imprenditore sia al sudanese, che avrebbe svolto il ruolo di intermediario, viene inoltre contestato anche il reato di caporalato, a causa delle condizioni disumane in cui avrebbe lavorato Abdullah Muhamed. Nell'udienza preliminare potrebbero costituirsi parte civile alcune tra le aziende di lavorazione più importanti d'Italia: la Mutti Spa di Montechiarugolo (Parma), la Rosina di Angri (Salerno) e Conserve Italia società cooperative agricole di San Lazzaro in Savena (Bologna), che proprio quell'estate acquistarono dalla Mariano di Nardò pomodori da trasformare in conserve. Tali ditte, infatti, si affidano all'autocertificazione dei venditori di materia prima per sapere che nei campi vengono rispettate le norme sulla sicurezza sul lavoro e le condizioni contrattuali. Nel caso specifico, la Mariano - come scoperto dalla Procura di Lecce - aveva certificato di essere in regola. Nessuna delle tre aziende acquirenti è indagata.