‘Weird Tapes’ è il nuovo album di Paolo Di Cioccio e Adriano Lanzi

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“Weird Tapes” è il secondo album in duo di Paolo Di Cioccio e Adriano Lanzi, ed esce per il nuovo catalogo “Environement” di Aventino Music, dedicato alla musica ambient.

Il concept è un amorevole omaggio ai mondi immaginari scaturiti un secolo fa dalla creatività dello scrittore statunitense Howard Philips Lovecraft, molto amato da entrambi i musicisti.

A cominciare dal titolo che è uno scoperto gioco di parole:”“Weird Tales”, racconti strani, bizzarri, era la rivista di letteratura di evasione che per prima valorizzò professionalmente il talento del solitario di Providence; da “tales” a “tapes”, cioè “nastri” nel senso di “registrazioni”, il passo è stato breve“.

    I racconti scelti per i titoli dei singoli brani e presi a ispirazione sono stati accuratamente selezionati al di fuori del celeberrimo “Ciclo di Chtulhu”: a Lanzi e Di Cioccio non interessava infatti tanto mettere in musica le pagine più tipicamente horror, pur amate, quanto omaggiare l’altro filone lovecraftiano, quello più onirico, misterioso, spesso non meno inquietante ma anche pieno di nostalgia e senso della meraviglia.

    Se il precedente lavoro del duo constava di brani interamente incisi per strumentazione elettronica, questa nuova fatica vede il solo Di Cioccio alla sintesi (in genere elaborati drones ambientali, talvolta armonicamente chiari, univoci, talaltra più mossi, ambigui e sottili) e Adriano Lanzi imbraccia la chitarra elettrica.

    Un riferimento musicale nobile, una suggestione, può senz’altro essere rintracciato nelle sculture di suono iterative e ipnotiche eppure sempre cangianti di Fripp & Eno (“Beyond the wall of sleep”; “Ex Oblivione”; “Hypnos”) ma è presente anche un’elaborazione personale della lezione tedesca dei “corrieri cosmici”, da quella più abissale e psichedelica del compianto Klaus Schulze, un pioniere recentemente scomparso, a quella sorta di folk sintetico, rituale, legato a popoli e luoghi mai visti (e forse non esistenti) ma immaginati, tipica di Florian Fricke/Popol Vuh (la chitarra estatica e contemplativa di “Collapsing Cosmoses”.

    I battimenti e i quarti di tono saltellanti di “Under The Pyramids”), fino a quella più cadenzata e meccanica alla “Cluster” (la chitarra-carillon di “What the Moon Brings”, l’oscillazione elettronica lentamente pulsante di “Poetry and the Gods”), senza dimenticare la rilettura che della musica tedesca ha fatto il post-rock americano degli anni ’90 e 2000 (la rarefazione che non impedisce sottili poliritmie in “Out of the Aeons”)”.


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