

La Procura di Benevento
La Corte d'Appello di Napoli ha riacceso i riflettori sull'inchiesta "Black Monday", la vasta operazione anticamorra che aveva scosso la Valle Caudina. Con un verdetto che farà discutere, i giudici hanno riformato notevolmente la sentenza di primo grado nei confronti di Enrichetta Clemente, la 27enne di San Martino Valle Caudina ritenuta la figlia del noto boss Fiore Clemente, figura apicale del clan Pagnozzi nell'operazione "Zeus".
Accogliendo le tesi difensive sostenute dall’avvocato Vittorio Fucci, la Corte ha deciso per un significativo taglio di pena, riducendo la condanna da 6 anni e 10 mesi a 4 anni e 9 mesi di reclusione.
Enrichetta Clemente era stata travolta da un’imponente inchiesta che le contestava ben 12 capi di imputazione per traffico di sostanze stupefacenti, a cui si aggiungeva un ulteriore capo per false dichiarazioni.
Secondo la ricostruzione della Pubblica Accusa, la giovane Clemente non era una semplice pedina, ma era ritenuta la capo carismatico di una vera e propria piazza di spaccio organizzata, gestita con la collaborazione di parenti e sodali.
L'attività di spaccio sarebbe stata talmente intensa da far emergere, grazie alle intercettazioni e ai filmati di videosorveglianza, un dato impressionante: circa 40 presenze sospette al giorno nella sua abitazione, ritenute dagli inquirenti frequentazioni dirette e riconducibili all'acquisto di droga.
L'indagine "Black Monday" aveva delineato un gruppo criminale ben oliato, con la Clemente al vertice, che gestiva il traffico di cocaina e hashish con una ramificazione estesa. La rete criminale operava con base nella Valle Caudina, ma si allungava fino al capoluogo irpino e superava i confini provinciali, raggiungendo anche il territorio del Sannio.
L’approvvigionamento della droga avveniva regolarmente nell'hinterland napoletano, snodo cruciale del mercato nero, per poi essere smistata capillarmente in Irpinia e nei comuni confinanti.
La posizione della Clemente era stata ulteriormente aggravata da un fatto specifico: le indagini avevano rilevato che, anche dopo l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, l'attività di traffico non si sarebbe fermata. A causa di questa presunta reiterazione del reato, la misura cautelare era stata inasprita, portando al trasferimento della donna in carcere.
Il corposo fascicolo d'inchiesta si è basato su un vasto impianto probatorio che include intercettazioni telefoniche e ambientali, registrazioni video e le dichiarazioni dettagliate di numerosi acquirenti.
Nonostante la solidità del quadro accusatorio, la Corte d'Appello, con la recente sentenza, ha parzialmente smontato la tesi iniziale, riconoscendo un'attenuazione della responsabilità penale che si è tradotta in una condanna più mite.
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La sentenza della Corte d'Appello di Napoli è stata davvero sorprendente. Ridurre la pena per Enrichetta Clemente solleva interrogativi sulla giustizia. La questione del traffico di droga è complessa e merita attenzione più approfondita, nonostante la condanna più leggera.