Il processo di Torre Annunziata segna un punto cruciale nella lotta contro il bracconaggio ittico, rivelando un sistema organizzato che ha devastato l'habitat marino della Penisola Sorrentina; le pesanti condanne non solo puniscono i responsabili, ma evidenziano anche il grave rischio per la.
Torre Annunziata– Non è stato solo bracconaggio ittico, ma un vero e proprio disastro ambientale. Si chiude con una stangata il processo di primo grado al Tribunale di Torre Annunziata contro la banda accusata di aver sistematicamente distrutto l'habitat marino della Penisola Sorrentina per estrarre il prezioso e vietatissimo dattero di mare.
Dopo quattro anni di dibattimento e ben 37 udienze, i giudici oplontini hanno emesso cinque condanne pesanti, accogliendo l'impianto accusatorio della Procura guidata da Nunzio Fragliasso.
Le condanne e le accuse
La mano dei giudici è stata ferma: 7 anni di reclusione per colui che è stato individuato come il capo dell'organizzazione. Pene severe anche per gli altri quattro imputati, condannati a periodi di detenzione variabili tra i 5 anni e 8 mesi e i 6 anni e 10 mes
i. Il Tribunale ha riconosciuto la sussistenza di reati gravissimi: associazione per delinquere, ricettazione, danneggiamento aggravato, distruzione di bellezze naturali e, soprattutto, disastro ambientale. Gli imputati dovranno inoltre risarcire i danni al Ministero dell'Ambiente, al Ministero delle Politiche Agricole e all'associazione ambientalista Marevivo, costituitisi parti civili.
Un sistema criminale "professionale"
Le indagini, condotte dalla Capitaneria di Porto di Castellammare di Stabia e coordinate dal pm Antonio Barba, hanno svelato un modus operandi di tipo industriale. Il gruppo non agiva a caso, ma operava in "maniera professionale e sistematica", con una precisa ripartizione di ruoli, mezzi e uomini.
Le loro scorribande hanno colpito il cuore dell'Area Marina Protetta, devastando i fondali rocciosi tra Vico Equense, Piano di Sorrento, Meta, Sorrento e Massa Lubrense per estrarre la Lithophaga lithophaga, specie protetta dal 1998 la cui pesca richiede la frantumazione della roccia, desertificando l'ecosistema sottomarino.
L'allarme sanitario: vongole al petrolio
Oltre al danno ecologico, l'organizzazione rappresentava un serio pericolo per la salute pubblica. Dalle carte del processo è emerso un dettaglio inquietante: il gruppo immetteva sul mercato anche vongole veraci (Venerupis decussata) pescate illegalmente nelle acque di Rovigliano, proprio alla foce del fiume Sarno.
Quell'area, classificata come "Zona Proibita", è tristemente nota per l'altissima concentrazione di inquinanti. I molluschi raccolti e venduti erano contaminati batteriologicamente e chimicamente, carichi di idrocarburi e metalli pesanti, trasformandosi in potenziali bombe tossiche sulle tavole dei consumatori ignari.
I numeri dell'operazione restituiscono la misura dello scempio: nel corso delle indagini sono state sequestrate complessivamente 2 tonnellate di datteri di mare e 6 quintali di vongole contaminate.
Fonte REDAZIONE






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