Una storia giudiziaria dai contorni paradossali, in cui il presunto truffatore finisce per denunciare le sue stesse vittime. È la vicenda di Antonio Gallo, 49 anni, napoletano residente a Massa di Somma, arrestato nel 2019 con l’accusa di truffa e rapina, poi scarcerato dal Riesame, condannato in primo grado solo per truffa e infine assolto completamente in appello.
A ribaltare il verdetto è stata la strategia difensiva dell’avvocato Giuseppe Gallo che ha evidenziato un vizio formale decisivo: la querela presentata dalle presunte vittime non conteneva un’espressa istanza punitiva, requisito indispensabile per procedere nei reati di truffa. Da qui l’improcedibilità dell’azione penale e l’assoluzione.
L’inizio della vicenda
Tutto parte nel giugno del 2019 all’ospedale Villa Betania, dove la moglie di una delle due presunte vittime conosce una donna che si presenta come sposata con un poliziotto di nome Antonio. L’uomo, avrebbe assicurato la signora, grazie alla divisa sarebbe stato in grado di procurare televisori e attrezzature professionali a prezzi stracciati.
Una volta tornata a casa, la donna mantiene i contatti con l’amica conosciuta in corsia.Potrebbe interessarti
L’accusa di rapina
La merce, però, non arriverà mai. E la situazione si ribalta: l’uomo e un amico raccontano ai carabinieri di essere stati rapinati dei soldi da Antonio Gallo durante l’incontro per la consegna. Da quel momento per il 49enne scatta l’indagine. Rapina e truffa aggravata: accuse pesanti, che porteranno all’arresto.
Ma nel corso del processo l’impianto accusatorio si sbriciola. Cade l’ipotesi di rapina, cade la truffa aggravata e, infine, in secondo grado arriva anche l’assoluzione piena.
La parola fine
La Corte d’Appello accoglie le tesi della difesa: la querela è viziata, manca la richiesta espressa di procedere, dunque il reato non è perseguibile. Per Gallo arriva la parola fine a una vicenda giudiziaria durata anni e iniziata da una denuncia che – tecnicamente – non avrebbe mai potuto produrre un processo.





Lascia un commento