Cronaca Giudiziaria

L’eredità dei clan e la nuova camorra: un deserto pieno di voci

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Napoli - C’è un momento, dopo ogni inchiesta e dopo ogni processo, in cui le carte smettono di pesare e diventano solo carta.

Ma le intercettazioni no: quelle rimangono. Rimangono nella memoria collettiva di una città, Napoli, che ha imparato a riconoscere la voce della camorra come il battito di un motore acceso dietro una saracinesca. E le ultime inchieste della Dda di Napoli quelle sui potenti clan Licciardi della Masseria Cardone e il clan Russo di Nola – fatta di inseguimenti, imboscate, “magliette” intese come carichi di droga e ordini sussurrati tra un vicolo e un appartamento-abitacolo fa emergere come la camorra ha la capacità di risorgere. Con le nuove generazioni.

Questa generazione – 18-25 anni in molti casi – si ritrova improvvisamente al timone di realtà complesse: piazze di spaccio da amministrare, rapporti con i fornitori da mantenere, relazioni con gli “amici di fuori” da non compromettere. Ma lo fa con la stessa superficialità con cui maneggia un telefono criptato o un’arma “a perdere”.

E non è un caso che i più saggi tra i vecchi affiliati lo ripetano in mille modi, spesso senza essere ascoltati: "Questi non sanno chi era chi. Non sanno che significa tenere una zona. Sanno sparare, ma non sanno comandare".

Le nuove generazioni: reggere senza sapere comandare

Se c’è un filo rosso che attraversa le ultime inchiesta sulla camorra napoletana, è l’irruzione di un’intera generazione di giovani “reggenti” cresciuti in fretta, troppo in fretta.
Giovani che parlano come se avessero visto tutto ma che spesso non hanno visto niente: hanno solo ereditato una guerra.

Le intercettazioni li inchiodano a un linguaggio che è già una condanna: Io mo’ comando qua… ma se quelli tornano ho già pronta la valigia". È leadership o paura? È comando o disperazione?

L’illusione del potere e la verità dei conti

Ci sono poi gli equilibri economici, il vero motore che mantiene in piedi la camorra. Il clan, ogni clan, non vive di spari ma di conti: percentuali, forniture, “messe a posto”, giri di denaro che devono scorrere come un fiume sotterraneo.

E qui emerge la contraddizione più dolorosa: la camorra appare sempre povera mentre amministra ricchezze immense.

Poveri i soldati, poveri gli intermediari, poveri i pusher utilizzati come carne da macello. A confermarlo sono decine di conversazioni, alcune quasi grottesche, come questa: "Capo, ma quando ci dai qualcosa? È un mese che faccio servizio…".
"Tieni, piglia ’sti 50 euro e non rompere… mo’ quando arriva la partita facciamo i conti veri".

La camorra è un datore di lavoro crudele: paga tardi, paga poco, paga sempre meno degli altri poteri criminali europei. Eppure continua ad arruolare. Perché non esiste concorrenza sociale. Perché dove finisce lo Stato, inizia l’economia criminale.

Il fallimento delle alleanze e il trionfo dei tradimenti

Nelle ricostruzioni della ultime inchiesta sulla camorra, un elemento ritorna come un’eco costante: nessuno è davvero alleato di nessuno.

Lo si capisce da quelle telefonate in cui un uomo giura fedeltà a un boss e, pochi minuti dopo, chiama il nemico per offrirgli informazioni. O da quelle riunioni clandestine dove tutto sembra solido, tranne la parola data.

Una delle intercettazioni più emblematiche di questo clima è quella in cui un uomo vicino al gruppo reggente dice:

"£Noi oggi siamo con loro… ma se domani ci conviene essere dall’altra parte, lo facciamo. È la strada che lo dice, non la famiglia".

È la fine dell’idea romantica – per quanto distorta – del clan come struttura stabile, organica, quasi “istituzionale”. La camorra di oggi è liquida, opportunista, capace di mutare pelle in meno di ventiquattr’ore.

Il ruolo degli “esterni”: intermediari, donne, parenti, prestanome

In una camorra che cambia, ci sono figure che diventano decisive. In primo luogo le donne: sempre più centrali nella logistica, nella gestione dei rapporti, nei contatti con i detenuti.
E poi gli “esterni” insospettabili: piccoli imprenditori, commercianti, parenti puliti.

E ci sono le intercettazioni che testimoniano la loro importanza. Come quella, asciutta e inquietante, in cui un intermediario dice: "Finché la voce la porto io, non se ne accorge nessuno. Basta che non parlate voi".

La camorra vive perché parla poco. E quando parla, parla tramite altri. La criminalità che resta: un sistema senza pace Le faide di camorra, quelle con decine di morti, sono finite.
O meglio: la fase visibile di quegli scontri è finita.

È come un incendio sotterraneo: le fiamme non si vedono, ma sotto terra la brace continua a bruciare.Lo dimostrano le ultime mosse del clan, le riorganizzazioni silenziose, i giovani che salgono e scendono come in un ascensore senza piano finale.

E soprattutto lo dimostrano le parole, ancora una volta. Tra tutte, questa: "Noi non finiamo mai. Finiscono le persone, non il sistema". È una frase che sembra scritta per un romanzo. E invece è vera.

L’unica certezza: la camorra non muore, cambia

La camorra non è più quella di vent’anni fa, ma non è nemmeno meno pericolosa. È solo più adattabile, più mobile, più disposta a sacrificare chiunque pur di sopravvivere. Gli scontri tra clan a suon fi morti hanno lasciato un’eredità fatta di paura, soldi, silenzi e voci.

Ma soprattutto ha lasciato una lezione che nessuno, davvero nessuno, può permettersi di ignorare: finché esisterà un vuoto di potere, la camorra lo riempirà; finché esisterà un’assenza dello Stato, il clan diventerà Stato. E in fine finché esisterà un quartiere che ha bisogno di qualcosa, la camorra sarà pronta a offrirla.

 

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Fonte REDAZIONE

Leggi i commenti

  • L'articolo presenta una panoramica interessante sulla camorra e su come le nuove generazioni stano gestendo situazioni complessi. Tuttavia, mi domando se sia davvero possibile cambiare questo sistema che sembra radicato profondamente nella società napoletana.

Pubblicato da
Giuseppe Del Gaudio