Napoli– È un mistero fitto di interrogativi quello che avvolge la morte di Pasquale Petrillo, ex killer di camorra ed ex collaboratore di giustizia, precipitato quattro giorni fa dalla balconata di via Acton, a pochi passi dal lungomare e da piazza Municipio.
La Procura ha disposto il sequestro della salma per accertare le reali cause del decesso: una caduta accidentale, un gesto volontario o, ipotesi tutt’altro che esclusa, una spinta nel vuoto.
Petrillo non era un nome qualunque negli archivi giudiziari. La sua storia criminale affonda le radici negli anni più violenti delle faide cittadine e incrocia alcuni dei clan storici del centro di Napoli.
Prima uomo d’azione, poi collaboratore di giustizia, le sue dichiarazioni contribuirono a smantellare prima il clan Mariano dei Quartieri Spagnoli e successivamente il clan Elia del Pallonetto di Santa Lucia, aprendo la strada al maxi blitz del 2017, uno dei colpi più duri inferti alla camorra del centro storico.
Nato e cresciuto in un contesto segnato dalla criminalità organizzata, Petrillo aveva iniziato giovanissimo la sua carriera criminale, diventando nel tempo un sicario di fiducia all’interno delle dinamiche di potere dei Quartieri Spagnoli. Un ruolo che lo portò a essere coinvolto in una lunga scia di episodi di sangue, culminati nel delitto di Maurizio Russo, figlio ventunenne del boss dei Quartieri Spagnoli, assassinato il 9 aprile 2001 in via Santa Maria Ognibene.
Un omicidio eccellente, consumato nel cuore della città, che segnò uno spartiacque nelle guerre tra clan e che ebbe un enorme peso nelle successive indagini.
Fu proprio dopo quell’omicidio che Petrillo iniziò a temere per la propria vita. Nei suoi verbali raccontò anche un dettaglio drammatico e rivelatore: il padre e il fratello avrebbero svelato il suo nascondiglio al clan Misso, sacrificandolo di fatto per salvare il resto della famiglia dalle ritorsioni. Una scelta che segnò definitivamente la sua rottura con l’ambiente criminale e lo spinse a collaborare con la giustizia.
Accanto alla carriera criminale, la sua figura aveva incrociato anche un inatteso riflesso mediatico. Petrillo era infatti legato alla scena neomelodica crime napoletana: il suo nome emerse per aver scritto il brano “Ma si vene stasera”, diventato celebre per essere stato inserito in una delle scene più iconiche di “Gomorra”, il film di Matteo Garrone tratto dal libro di Roberto Saviano.
Una canzone diventata simbolo di una generazione sospesa tra fascinazione criminale e degrado sociale, capace di trasformare in colonna sonora quella stessa violenza che Petrillo aveva praticato sulla strada.
Dopo la collaborazione con la giustizia, l’ex killer aveva vissuto per anni lontano dai riflettori, sotto protezione, cercando una nuova identità. Ma il passato, a Napoli, raramente resta sepolto. Ed è proprio questo passato che ora torna a pesare come un macigno sull’indagine aperta dalla Procura.
Gli investigatori stanno passando al setaccio tutte le immagini delle telecamere pubbliche e private presenti nella zona di via Acton, ricostruendo gli ultimi spostamenti dell’uomo e verificando eventuali presenze sospette. Nessuna pista viene esclusa: dall’incidente al suicidio, fino all’ipotesi più inquietante di un regolamento di conti tardivo, maturato a distanza di anni dalle sue rivelazioni.
La morte di Pasquale Petrillo rischia così di trasformarsi nell’ennesimo giallo di camorra, dove le verità processuali del passato si intrecciano con i silenzi del presente. Un finale ancora tutto da scrivere per un uomo che aveva attraversato, in prima linea, le stagioni più buie della criminalità napoletana.
Fonte REDAZIONE






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