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De Laurentiis: “Calcio in mano ai signorotti, così si distrugge. Nazionali, tv e calendari: serve rivoluzione”

Il presidente del Napoli, intervenuto a Radio Crc, denuncia una governance “medievale”, invoca più potere ai club sui convocati, chiede di rimettere mano alla Legge Melandri e avverte su diritti streaming e infortuni. Poi il racconto dei due titoli 2025, l’ombra irripetibile di Maradona e l’idea di un Napoli sempre più brand culturale.
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Aurelio De Laurentiis alza il velo su un calcio italiano che definisce “medievale”, denunciando meccanismi di potere che soffocano la modernizzazione e mettono a rischio i club e i tifosi, mentre invoca una rivoluzione che restituisca ai club il potere decisionale sui propri giocatori e riformi.

Non è un semplice sfogo, ma un j’accuse a tutto campo contro l’architettura del calcio italiano. Aurelio De Laurentiis sceglie i microfoni di Radio Crc e mette in fila accuse, proposte e paragoni internazionali, disegnando un quadro che definisce senza mezzi termini “medievale”: un sistema, sostiene, dominato da “grandi signorotti” e da meccanismi di potere che ruotano più attorno alle rielezioni e alla conservazione delle posizioni che alla modernizzazione del prodotto.

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Il bersaglio è la governance: per il presidente del Napoli, nel calcio “tutti vogliono aggiungere e nessuno vuole levare”. Tradotto: si accumulano competizioni, finestre, obblighi e adempimenti, senza alleggerire nulla. E la conseguenza — avverte — ricade su chi paga la materia prima del gioco, cioè i club, e su chi ne subisce gli effetti, cioè i tifosi.

Nazionali e infortuni: “Decida il club”

Uno dei punti più duri riguarda il rapporto con le Nazionali. De Laurentiis contesta la “leggerezza incredibile” con cui i calciatori, “pagati da noi”, vengono messi a disposizione delle selezioni. La sua proposta ribalta la prassi consolidata: dovrebbe essere la società a decidere se un atleta può partire o meno, in base a condizioni fisiche, calendario e interessi del club.

È un tema che si lega a doppio filo all’allarme infortuni e al sovraccarico di partite. Il presidente azzurro usa una metafora domestica per spiegare la sua idea: “non si deve distruggere un gioco giocando troppo”, come quando “fai una cena e sbagli il menù, metti troppe cose” e finisci per rovinare l’esperienza a tutti. Nel calcio, dice, gli “incubi” oggi hanno un nome preciso: stop muscolari, ricadute, giocatori spremuti.

Da qui l’invocazione a una revisione profonda anche del rapporto di lavoro: De Laurentiis immagina calciatori più vicini allo status di “liberi professionisti”, perché “ormai sono delle aziende”, e ritiene necessario ridurre vincoli e stress “vincolanti”. Non solo: chiede anche di “regolamentare il potere degli agenti”, considerato un altro snodo che incide su equilibrio contrattuale e sostenibilità del sistema.

Il tifoso al centro (ma “le istituzioni non lo proteggono”)

Nel ragionamento del patron del Napoli non c’è soltanto la tutela dell’investimento dei club. C’è una lettura quasi sociale del campionato: il tifoso, sostiene, vive la Serie A come un appuntamento che ha “un vero valore”, una sorta di medicina settimanale, “panacea di tutti i mali”. E proprio per questo accusa i “signori delle istituzioni” di non avere come priorità la protezione del pubblico e la qualità dell’esperienza, schiacciata da interessi di potere e da un’agenda che continua ad appesantirsi.

In questa cornice richiama la necessità di “sedersi” e “riappropriarsi di ciò che a un certo punto è stato stabilito” in passato, citando esplicitamente passaggi storici legati a Veltroni e Platini, come simboli di scelte che secondo lui hanno definito — nel bene o nel male — l’impianto regolatorio e politico del pallone.

Politica, regole e Legge Melandri: “Da 30 anni ostacoli”

L’attacco poi si sposta sul rapporto tra calcio e Stato. De Laurentiis rivendica che i club sono “società di capitali” e che non possono sottostare a una logica di “gestione pubblica” come avveniva anni fa. Nel suo racconto, la politica italiana vive una contraddizione: è popolata di tifosi, ma non produce riforme adeguate quando “il calcio non funziona”.

Da qui l’affondo: per il presidente del Napoli, il governo da decenni non farebbe altro che “mettere ostacoli affinché il calcio italiano possa essere forte e sorridente e vincente in tutta Europa”. In quest’ottica richiama la possibilità di intervenire sulla Legge Melandri, arrivando a ipotizzarne l’abolizione per restituire “libertà assoluta di impresa” e ridurre vincoli che, a suo dire, limitano la capacità di governare e valorizzare il prodotto-calcio.

La Lega e la richiesta di un cambio di passo: “Decidano i proprietari”

Nel mirino finisce anche la Lega Serie A. De Laurentiis racconta di aver invitato l’imprenditore Saputo “a farsi vedere in Lega” e confessa una stanchezza personale: “da 21 anni mi sono stancato di andare a parlare del nulla”. Il punto, per lui, è di metodo e di catena decisionale.

Sostiene che le decisioni vere, soprattutto quando implicano rischio e scelte impopolari, possano prenderle soltanto i proprietari, e in tempi rapidi (“in 24 ore”). Non si può chiedere, dice, a direttori generali o amministratori — chiamati per natura a proteggere i conti — di esporsi e “prendersi un rischio”. È un attacco che riflette una visione aziendalista del calcio: meno tavoli inconcludenti, più governance proprietaria e scelte nette.

“Occhio a DAZN”: il nodo dello “stadio virtuale”

Il tema economico, però, resta la spina dorsale del ragionamento. De Laurentiis introduce il concetto di “stadio virtuale” e denuncia una distorsione: “nello stadio reale i biglietti li vendiamo noi e in quello virtuale li vendono gli altri”. È un riferimento diretto al mercato dei diritti audiovisivi e alla filiera dello streaming, con DAZN citata in modo esplicito come simbolo di un ecosistema in cui — sostiene — i club non controllano pienamente monetizzazione e strategia.

Qui l’accusa è alla Lega: “fa finta di nulla”, mentre il problema sarebbe “economico” e strutturale. Il sottotesto è chiaro: senza una redistribuzione più coerente del valore generato dal prodotto digitale, senza un controllo più diretto o senza regole che favoriscano i club, il sistema rischia di indebolirsi.

Due titoli nel 2025, Maradona e il Napoli “culturale”

Dentro questo scenario di conflitto istituzionale, De Laurentiis apre anche la parentesi più identitaria. Torna sui due titoli vinti nel 2025 e li colloca su un piano diverso rispetto al passato: ricorda che anche con Benitez erano arrivati due trofei, ma “questi sono diversi”, lasciando intendere un salto di peso simbolico e di maturità del progetto.

E poi c’è Maradona, evocato come misura impossibile: “non si riesce mai ad eguagliare”, dice, perché nessuno avrebbe avuto il suo carisma e quello “spirito da scugnizzo partenopeo”. Nel racconto compare persino un tassello cinematografico: con Diego, rivela, “abbiamo anche lavorato a un film”, a conferma di quanto l’idea di Napoli per De Laurentiis non sia soltanto sportiva, ma anche narrativa e popolare.

Da qui le memorie personali: l’innamoramento per il Napoli “da piccolo”, persino attraverso il “ciuccio” nel diario di Jacovitti. E le suggestioni per iniziative che mischiano gioco e beneficenza: immagina un “Mercante in Fiera” con protagonisti storici e contemporanei, un’idea che dice di aver subito condiviso con Bianchini, e prospetta una serata con “primo premio in beneficenza”. È la fotografia di un presidente che continua a pensare al club anche come piattaforma culturale, oltre che calcistica.

Promozione in A, scudetto e “godimento” del tifo

Infine, De Laurentiis torna a una delle sue emozioni fondative: la promozione dalla Serie B alla Serie A. La definisce “un momento indimenticabile che ti segna”, perché rappresenta la rinascita e la rivincita. E la collega al suo mestiere originario: “ho cercato di far divertire le persone con il cinema”, e vedere i tifosi che diffondono ovunque “senso di rivincita” e soddisfazione è un piacere che — dice — “non ti può dare nessun altro trofeo”.

Poi frena, quando gli viene chiesto se quella promozione sia stata più emozionante dello scudetto: “non diciamo così”, precisa, perché sono emozioni diverse. Riconosce la bellezza della festa dell’ultimo tricolore, ma torna al punto politico: chi gestisce il calcio istituzionalmente sarebbe troppo legato alla poltrona e non capirebbe che l’eccesso di partite e vincoli rischia di logorare il gioco.

I modelli esteri: NBA e l’illusione inglese

A chiudere, i confronti internazionali. De Laurentiis cita l’NBA come esempio di forza contrattuale e capacità di fermarsi: sei mesi di stop, “hanno mandato a quel paese tutti” e poi sono ripartiti “alla grande”. È un invito implicito a immaginare scelte drastiche anche nel calcio, se necessarie per riequilibrare poteri e sostenibilità.

Sul fronte opposto, ridimensiona il mito economico della Premier League: secondo lui “il calcio inglese non è poi così gaudente” come appare. E la conclusione, coerente con tutto il discorso, è netta: “nel nostro sistema qualcosa non funziona”.

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Fonte REDAZIONE
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