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LO SCOSSONE

Camorra, si è pentito l'imprenditore Nicola Inquieto: era il cassiere di Zagaria

i primi verbali all’esame della Dda, possibili scosse sul processo Jambo e sulle fortune del capoclan
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Caserta - L’imprenditore Nicola Inquieto, per anni indicato dagli inquirenti come uno dei principali terminali economici del boss Michele Zagaria, ha deciso di collaborare con la giustizia.

I primi verbali sono già stati depositati nel processo d’appello sulle presunte infiltrazioni del clan dei Casalesi nel centro commerciale Jambo di Trentola Ducenta, snodo simbolo dell’intreccio tra affari, cemento e potere criminale nel Casertano.

L’ufficializzazione del cambio di rotta è arrivata in aula dal pubblico ministero della Dda di Napoli, Maurizio Giordano, che ha chiesto l’escussione di Inquieto come testimone nel giudizio di secondo grado. La scelta di collaborare, riferiscono fonti giudiziarie, sarebbe maturata lo scorso ottobre, ma è rimasta coperta dal massimo riserbo fino al deposito dei primi verbali resi davanti ai magistrati antimafia. La Corte ha disposto l’acquisizione degli atti e aggiornato l’udienza.

Dalle indagini agli arresti: chi è Nicola Inquieto

Il nome di Nicola Inquieto entra stabilmente nei fascicoli dell’Antimafia come quello dell’imprenditore che avrebbe investito e riciclato ingenti capitali illeciti riconducibili a Michele Zagaria, capo della fazione di Casapesenna del clan dei Casalesi.

Secondo le sentenze già definitive, Inquieto ha reimpiegato per anni i proventi delle attività criminali del gruppo in un vasto circuito di imprese edili e operazioni immobiliari, in Italia e all’estero.

Arrestato nel 2019, l’imprenditore è stato condannato in via definitiva a 14 anni di reclusione per riciclaggio e reimpiego di capitali mafiosi. La sua figura è da tempo considerata centrale nel “polmone economico” del sistema Zagaria: non un semplice prestanome, ma un gestore in grado di muovere patrimoni, costruire società, mascherare la provenienza del denaro dietro operazioni solo in apparenza lecite.

Il legame con il capoclan è anche familiare e logistico: Nicola è fratello di Vincenzo Inquieto, proprietario dell’abitazione di Casapesenna in cui, nel dicembre 2011, dopo una lunghissima latitanza, venne catturato Michele Zagaria. Un dettaglio che, nella lettura degli investigatori, segna il grado di fiducia di cui la famiglia Inquieto godeva agli occhi del boss.

Il filone romeno: imprese, benessere e mattoni

Uno dei capitoli più rilevanti delle inchieste che hanno coinvolto Inquieto riguarda il fronte romeno delle attività economiche legate al clan. Secondo gli atti giudiziari, l’imprenditore avrebbe investito i capitali di Zagaria in Romania, diversificando il portafoglio di affari: imprese edili impegnate in nuove costruzioni e ristrutturazioni; centri benessere e strutture ricettive e appartamenti già ultimati o in corso di edificazione, destinati alla vendita.

Questo schema, ricostruito dagli inquirenti con intercettazioni, rogatorie internazionali e sequestri patrimoniali, avrebbe consentito di drenare e ripulire milioni di euro provenienti da estorsioni, traffici illeciti e dalla gestione monopolistica di segmenti dell’economia locale nel Casertano.

La collaborazione di Inquieto, nelle intenzioni dell’Antimafia, potrebbe ora aggiungere dettagli decisivi su soci, prestanome, coperture istituzionali e modalità concrete di trasferimento dei capitali all’estero.

Il processo Jambo: condanne, assoluzioni e la nuova variabile

La svolta di Inquieto irrompe nel processo d’appello sul centro commerciale Jambo, struttura cardine a Trentola Ducenta che, secondo l’accusa, sarebbe stata in parte costruita e sviluppata grazie a soldi riciclati del boss Zagaria e del clan dei Casalesi.

In primo grado, la prima sezione collegio C del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva condannato a 7 anni di reclusione l’allora patron del Jambo, Alessandro Falco, assolto con formula piena l’ex sindaco di Trentola Ducenta, Michele Griffo, difeso dall’avvocato Carlo De Stavola e assolto anche Ortensio Falco e Nicola Picone.

Su questo impianto probatorio si innesta ora la nuova posizione di Inquieto.

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Il pm della Dda Maurizio Giordano, applicato al processo insieme al sostituto procuratore generale, ha chiesto che l’imprenditore venga ascoltato proprio in relazione ai presunti interessi diretti di Zagaria nel Jambo: quote occulte, appalti pilotati, forniture, flussi di denaro che avrebbero trasformato il centro commerciale in una “lavatrice” di capitali mafiosi.

L’acquisizione dei primi verbali lascia intuire che l’Antimafia consideri già utili le dichiarazioni rese finora. Se e in che misura queste possano incidere sugli esiti del giudizio d’appello lo diranno le prossime udienze, ma per l’accusa si apre la possibilità di consolidare o riscrivere la mappa degli interessi del clan nelle grandi strutture commerciali del territorio.

Un pentimento “pesante”: cosa può cambiare

Il pentimento di un imprenditore come Nicola Inquieto ha un peso diverso rispetto a quello di un semplice gregario di camorra. Chi gestisce i capitali conosce:

i canali bancari e finanziari utilizzati per spostare il denaro

l’identità di prestanome, consulenti e professionisti compiacenti

le triangolazioni societarie tra Italia ed estero

le reali proprietà di immobili, aziende, terreni e partecipazioni

Le sue dichiarazioni possono dunque incidere su più livelli: nuove indagini patrimoniali, confische mirate, riapertura o rafforzamento di filoni d’inchiesta su appalti, autorizzazioni edilizie, rapporti con amministratori pubblici e imprenditoria “grigia”. Sullo sfondo, anche la possibilità di collegare meglio il “sistema Zagaria” ad altri segmenti dell’economia legale, locale e internazionale.

Resta però il nodo storico della credibilità dei pentiti “a cose fatte”, specie quando la collaborazione arriva dopo condanne definitive e lunghi anni di affari gestiti nell’ombra. Sarà il vaglio incrociato di procure e tribunali a stabilire quanto le parole di Inquieto siano riscontrabili e quanto, al contrario, possano risentire di strategie difensive o di tentativi di ridimensionare altri ruoli e responsabilità.

La riflessione: il codice del silenzio che si incrina

La scelta di un imprenditore organico al sistema dei Casalesi di rompere il silenzio offre uno spaccato del mutamento in corso dentro e attorno ai clan. Se per decenni l’architettura economica di gruppi come quello di Zagaria ha potuto contare su un fronte compatto di professionisti, tecnici e operatori economici disposti a fare da “scudo” al denaro mafioso, oggi quel fronte appare meno impenetrabile.

Il pentimento di Inquieto, al di là dei benefici che egli potrà eventualmente ottenere, rappresenta un segnale: il rischio di vedere dissolte fortune costruite in anni di investimenti illeciti può spingere chi ne ha gestito le leve a scegliere la via della collaborazione.

Per lo Stato, significa la possibilità di entrare nei “piani alti” della finanza criminale, non solo per colpire i singoli clan, ma per comprendere e smontare il modello economico che li ha resi così potenti.

Se le sue rivelazioni troveranno riscontro, la storia giudiziaria di Nicola Inquieto potrebbe diventare uno spartiacque: da “braccio imprenditoriale” di Michele Zagaria a testimone interno del meccanismo che ha trasformato il clan di Casapesenna in una holding del crimine capace di colonizzare interi settori economici, dai centri commerciali del Casertano ai cantieri in Romania. E, insieme, un nuovo banco di prova sull’efficacia del sistema dei collaboratori di giustizia nel colpire la dorsale finanziaria della camorra.

RIPRODUZIONE RISERVATA Articolo pubblicato il 3 Dicembre 2025 - 06:44 - Rosaria Federico

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