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Napoli, babygang della faida di piazza Mercato: in aula i killer di Emanuele Tufano

Giudizio immediato per otto giovanissimi accusati dell’agguato in cui morì il 15enne Emanuele Tufano, ucciso dal fuoco amico. Collegato a quel delitto anche l’omicidio di Emanuele Durante, vittima del “tribunale della camorra”.
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Napoli - A pochi mesi dalla raffica di arresti scattata a maggio, la Procura distrettuale antimafia accelera sull’inchiesta sulla faida dei “babyras” in zona Mercato e porta a processo gli otto presunti killer coinvolti nella morte di Emanuele Tufano.

Il pubblico ministero ha ottenuto il giudizio immediato, saltando l’udienza preliminare in virtù del quadro indiziario ritenuto già pienamente consolidato.

Il procedimento si apre dinanzi alla settima sezione penale collegiale del tribunale di Napoli. Alla sbarra sono chiamati a rispondere, a vario titolo, dell’omicidio del quindicenne: Giuseppe Auricchio, Mattia Buonafine, Raffaele Crisciuolo, Gennaro De Martino, Francesco Esposito, Simone Gioffredo, Cristian Scarallo e Vincenzo Zerobio.

Per loro l’accusa ipotizza un’azione di gruppo, armata e organizzata, maturata nel contesto delle nuove leve della camorra dell’area centrale di Napoli.

A difenderli un collegio difensivo affollato, composto dagli avvocati Leopoldo Perone, Mauro Dezio, Emilio Coppola, Rosario Marino, Claudia Franchi, Marco Campora, Mariangela Covelli, Alfonso Quarto e Massimo De Marco. In un procedimento parallelo risultano indagati altri sei giovani, tutti minorenni all’epoca dei fatti: F.P.F., M.V., N.G., G.M., A.P. e F.A., per i quali è atteso a breve il possibile rinvio a giudizio davanti al tribunale per i minorenni.

La sparatoria in via Carminiello al Mercato

La sera del 24 ottobre, in via Carminiello al Mercato, a due passi dal Rettifilo, un conflitto a fuoco tra giovanissimi trasforma una strada del centro in un teatro di guerra. Secondo la ricostruzione della Dda, un gruppo di ragazzini armati si muove nel quartiere per un’azione dimostrativa legata agli equilibri criminali della zona. Nel caos degli spari, in quello che viene definito un agguato consumato in piena città, a cadere è uno dei loro: il quindicenne Emanuele Tufano.

Gli inquirenti parlano di “fuoco amico”: il ragazzo sarebbe stato colpito mortalmente da un proiettile esploso dal suo stesso gruppo, o comunque da una delle pistole imbracciate dai giovanissimi coinvolti nello scontro. Un delitto che mostra l’estrema pericolosità delle nuove babygang legate o contigue agli ambienti camorristici, pronte a gestire armi e regolamenti di conti come adulti, ma con l’imprevedibilità e l’azzardo tipici dell’età.

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L’omicidio scuote l’opinione pubblica e spinge la Procura antimafia a imprimere una forte accelerazione alle indagini, fino all’adozione delle misure cautelari nei confronti degli otto imputati e dei sei minorenni indagati.

Il secondo delitto: il caso Durante e il “tribunale della camorra”

La vicenda si intreccia in modo drammatico con un secondo omicidio: quello di un altro giovanissimo, Emanuele Durante. Per gli investigatori il filo che lega i due fatti di sangue è diretto. Dopo la morte di Tufano, si sarebbe attivato un vero e proprio “tribunale della camorra” incaricato di individuare e punire il presunto responsabile dell’agguato finito in tragedia.

Secondo l’ipotesi accusatoria, il nome di Durante sarebbe stato indicato come colui che aveva avuto un ruolo nella sparatoria in cui perse la vita Tufano. Una ricostruzione che, alla luce degli sviluppi investigativi, si rivelerebbe però clamorosamente sbagliata. Nonostante ciò, la “sentenza” del tribunale criminale viene eseguita: Emanuele Durante viene assassinato, vittima designata di un errore fatale, punito per una responsabilità che, secondo gli inquirenti, non avrebbe mai avuto.

La morte di Durante rappresenta, per gli investigatori, l’ulteriore conferma dell’esistenza di un sistema di giustizia parallela gestito dai clan o da gruppi emergenti, che non esitano a decretare condanne di morte sulla base di sospetti, voci di strada o calcoli di convenienza criminale.

I dubbi degli inquirenti e i nodi da sciogliere

Resta una domanda chiave: perché è stato ucciso Emanuele Durante, se non era l’unico ad aver partecipato – e, secondo gli sviluppi, forse neppure aveva partecipato – alla sparatoria culminata nella morte di Tufano? Anche partendo dal collegamento ormai assodato fra i due delitti, gli stessi investigatori ammettono che non è semplice fornire una risposta univoca.

Le ipotesi allo studio vanno dall’errore di persona alle dinamiche interne ai gruppi giovanili armati, fino al possibile tentativo di qualcuno di deviare le attenzioni dei vertici criminali indicando un capro espiatorio. Un groviglio di interessi, rancori e paure che solo i processi potranno provare a sbrogliare.

Mentre per gli otto maggiorenni imputati per l’omicidio Tufano si apre il dibattimento con il giudizio immediato, la posizione dei minorenni e dei presunti responsabili del delitto Durante è destinata ad approdare a breve nelle aule di giustizia. Sarà lì che, tra testimonianze, perizie balistiche e intercettazioni, si cercherà di fare luce sull’ascesa delle nuove babygang della camorra e su due omicidi che hanno trasformato la faida dei ragazzi in una tragica guerra tra adolescenti armati.

RIPRODUZIONE RISERVATA Articolo pubblicato il 9 Dicembre 2025 - 13:15 - Giuseppe Del Gaudio

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