

Il Pronto soccorso dell'ospedale San Leonardo di Castellammare
Castellammare - Una diagnosi errata e un intervento chirurgico arrivato troppo tardi. È costata la vita a una donna di Castellammare di Stabia la lunga attesa al pronto soccorso dell’ospedale San Leonardo, dove il 9 agosto 2021 si era presentata per forti dolori addominali. La paziente sarebbe poi morta il 28 agosto, dopo settimane in rianimazione e una drammatica corsa contro il tempo.
Il Tribunale di Torre Annunziata ha condannato a dieci mesi di reclusione la dottoressa Grazia Maria Iovine, medico in servizio al San Leonardo, ritenuta responsabile della morte della paziente per negligenza diagnostica e ritardo terapeutico. Oltre alla pena, il giudice ha disposto il pagamento delle spese di parte civile e di una provvisionale a favore dei familiari.
In aula, la figlia della vittima, Rita Rosaria Langellotti, assistita dall’avvocato Massimo Autieri, ha ricostruito le ultime ore di vita della madre.
«Ho chiamato il 118 nella notte tra l’8 e il 9 agosto — ha raccontato —, mia madre lamentava dolori addominali insopportabili. Siamo arrivate al pronto soccorso tra le 3:30 e le 4:00».
La donna ha descritto un’attesa interminabile in cui la madre, sdraiata su una lettiga, restò per ore senza che venisse chiarita la natura del dolore.
«Parlavano di una possibile pancreatite», ha ricordato. Solo verso le 9:30–10:00, dopo una TAC, venne scoperta la rottura della milza e attivato il protocollo chirurgico d’urgenza. L’operazione si sarebbe svolta intorno a mezzogiorno, ma la paziente non si è più risvegliata, finendo in rianimazione dove è rimasta fino al decesso del 28 agosto per shock settico e gravi complicanze.
A spiegare la catena di errori è stato il professor Adelmo Gubitosi, chirurgo e consulente tecnico di parte civile, che ha definito il caso come una classica urgenza addominale.
Secondo la perizia, un emocromo effettuato alle 5:25 mostrava emoglobina a 9 g/dl e marcata anemia, un dato che avrebbe dovuto far scattare immediatamente ulteriori accertamenti.
Gubitosi ha sottolineato che un semplice esame eco-fast – un’ecografia d’urgenza eseguibile in cinque minuti – avrebbe potuto rivelare sangue in addome senza attendere la TAC. Ma quell’esame non fu mai eseguito.
La TAC, richiesta alle 4:30, sarebbe stata visionata solo intorno alle 10:30, quando ormai la paziente si trovava in shock emorragico.
In sala operatoria furono trovati oltre due litri di sangue, segno di una emorragia prolungata che aveva già compromesso gli organi vitali.
Per il consulente, l’intervento chirurgico arrivò «tardivamente», e le condizioni post-operatorie portarono a sepsi nosocomiale e multi-organ dysfunction, culminate nello shock settico fatale del 28 agosto.
In tribunale, il confronto si è concentrato anche sui protocolli operativi. Il professor Gubitosi ha distinto tra urgenza ed emergenza, precisando che nel caso in questione sarebbe stato necessario attivare immediatamente il team chirurgico, anche senza attendere il referto radiologico ufficiale.
Secondo il consulente, intervenire tra le 5:00 e le 7:30 del mattino avrebbe potuto modificare radicalmente l’esito, mentre il ritardo ha consentito alla rottura splenica di evolvere in emorragia diffusa.
Sulle cause della rottura della milza, si ipotizza una origine traumatica o contusiva, con fratture costali sinistre rilevate in seguito. In sala operatoria, il diaframma è risultato integro, escludendo lesioni perforanti: resta incerto l’evento scatenante.
La vicenda ha riportato sotto i riflettori le criticità strutturali del pronto soccorso del San Leonardo, più volte segnalate durante e dopo l’emergenza Covid. Una storia di attese, errori e dolore, che oggi trova una prima risposta nelle aule del tribunale, ma lascia ancora aperte molte domande sulla gestione delle emergenze in ospedale.
.