Perugia – Le sbarre del carcere di Voghera non erano bastate a interrompere la catena di comando. Dal cuore della detenzione, un esponente di vertice del clan dei Casalesi continuava a tessere la sua tela intimidatoria, con un obiettivo preciso: cucire la bocca di un ex sodale che aveva deciso di saltare il fosso e collaborare con lo Stato.
È questo lo scenario inquietante emerso dall'operazione scattata alle prime luci di oggi, che ha visto i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Perugia, supportati dai comandi territoriali, stringere le manette ai polsi di due fratelli originari di Casal di Principe.
L'operazione e le accuse
L'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. di Napoli su richiesta della DDA, colpisce il cuore di una strategia difensiva basata sul terrore. I due germani devono rispondere di induzione a non rendere dichiarazioni all’Autorità Giudiziaria, reato pesantemente aggravato dal metodo mafioso.
Secondo gli inquirenti, i due avrebbero agito in perfetto concorso: il boss detenuto come mandante e autore materiale delle missive, il fratello libero come "ufficiale di collegamento" incaricato di far recapitare i messaggi di morte.
L'antefatto: il carico da 35 chili
Per comprendere la genesi delle minacce, bisogna riavvolgere il nastro al marzo 2023.Potrebbe interessarti
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Quell'arresto non fu un punto di arrivo, ma l'inizio di un terremoto giudiziario. L'uomo, messo alle strette, decise di collaborare, scoperchiando il vaso di Pandora su un'associazione criminale che, dall'agro aversano, gestiva fiumi di droga destinati al mercato umbro e nazionale.
La strategia del terrore epistolare
Le rivelazioni del "pentito" rappresentavano un rischio mortale per il boss, già detenuto a Voghera dall'aprile 2024 nell'ambito dello stesso procedimento perugino. È in questo contesto che scatta la rappresaglia psicologica. Le indagini hanno documentato che, nell'arco temporale tra il maggio 2024 e il giugno 2025, il collaboratore di giustizia è stato raggiunto da otto lettere – alcune manoscritte, altre battute a macchina – dal tono inequivocabile.
Non si trattava di semplici messaggi, ma di veri e propri "avvertimenti" in stile camorristico, recapitati grazie alla sponda del fratello in libertà. L'obiettivo era chiaro: costringere il testimone chiave a ritrattare, a "dimenticare" i nomi e le circostanze, o a mentire spudoratamente ai giudici per salvare il capoclan da una nuova, pesante condanna nel processo per traffico internazionale di stupefacenti.
Il blitz di questa mattina chiude il cerchio, spezzando il canale di comunicazione tra il carcere e l'esterno e blindando, di fatto, le dichiarazioni che potrebbero presto portare a nuove sentenze di condanna per il clan.






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