Camorra, agguato a Giuseppe Cipressa: i testimoni e l'ombra di una guerra nel clan Amato-Pagano

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Mugnano- Anche se si sono mossi a volto coperto, qualcuno li ha visti. Due uomini, freddi e rapidi, hanno aperto il fuoco contro Giuseppe cipressa, 64 anni, detto Peppaccio, considerato un ras di peso del clan Amato-Pagano, la storica organizzazione nata dallo strappo sanguinoso agli Scissionisti di Secondigliano.

L’agguato è avvenuto in via Luca Giordano, a pochi metri dall’abitazione dell’uomo. Cipressa era alla guida della sua auto quando i killer hanno esploso almeno tre colpi: uno alla clavicola, uno all’orecchio e uno al torace. Ferito, ha perso il controllo e si è schiantato contro un muretto.

Adesso è ricoverato in condizioni gravissime. E mentre i medici tentano di strapparlo alla morte, gli investigatori cercano i mandanti.

Il peso di “Peppaccio” e l’ombra della pista interna

Cipressa non è un nome qualsiasi negli equilibri criminali tra Melito, Mugnano, Secondigliano e l’area nord di Napoli. Figura di primo piano, gestore di rapporti, affari e mediazioni, la sua eliminazione non sarebbe un episodio isolato né frutto di improvvisazione.

Gli investigatori lo sanno: se a colpire Peppaccio è stata una mano interna al clan, significa che tra gli Amato-Pagano qualcosa si è rotto. E quando si spezza un equilibrio, tra questi mondi, il sangue quasi sempre ricomincia a scorrere.

Se invece l’attentato fosse arrivato dall’esterno, da nemici vecchi o nuovi, allora il segnale è ancora più inquietante: qualcuno ha deciso di dichiarare guerra agli Amato-Pagano. E in quel caso, dicono gli inquirenti, la risposta non tarderebbe.

Gli attriti con il clan Ferone e la lezione alla “gente di Casavatore”

Non è la prima volta che il nome di Cipressa compare al centro di tensioni.
Intercettazioni di qualche tempo fa lo ritraggono in conversazioni con Ciro Mauriello, altro esponente del clan, mentre discute della condotta dei Ferone di Casavatore.

L’oggetto della dispute non erano grandi affari, ma piccole rapine ai danni della povera gente: furti d’auto e persino cassette di verdura rubate a chi si guadagna da vivere all’alba.
«Si rubano le macchine della povera gente, di quelli che scendono la mattina a lavorare», diceva Cipressa nelle intercettazioni.

«Già li richiamammo. Ma se continuano, allora devono abbuscare… li dobbiamo prendere malamente».
In quel dialogo c’è tutto il codice criminale: si “avvisa” una volta, poi si colpisce. Senza clamore, senza pietà.

Il collaboratore Roselli e la gestione delle aste

Nelle carte giudiziarie, il nome di Cipressa compare anche in un altro contesto. Il pentito Salvatore Roselli ha raccontato il ruolo di Peppaccio nella gestione delle aste immobiliari, un settore storicamente controllato dal clan.

Roselli parla di equilibri delicati, di uomini sostituiti, di somme incassate senza autorizzazione, di rapporti interni incrinati.E nelle sue parole, un dettaglio ritorna: Cipressa sarebbe stato uno di quelli pronti “a fare giustizia” dentro il clan, quando qualcuno superava il limite.

Tutti i tasselli, osservati insieme, compongono una scena inquieta: un clan nervoso, attraversato da fratture sottili e rivalità sommerse.

L’agguato a Peppaccio potrebbe essere: una regolazione di conti interna, forse per affari o leadership oppure un segnale esterno, un attacco frontale agli Amato-Pagano.

In entrambi i casi, il rischio è lo stesso:una nuova stagione di sparatorie, vendette e sangue nelle strade già segnate da anni di faida.E in questi territori, quando il silenzio si rompe, la storia insegna che non si ferma facilmente.

RIPRODUZIONE RISERVATA Articolo pubblicato il 6 Novembre 2025 - 06:38 - Giuseppe Del Gaudio
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Giuseppe Del Gaudio