Castellammare - Era soprattutto il settore giovanile della Juve Stabia uno dei punti su cui, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, avrebbe messo le mani il clan D’Alessandro.
È quanto emerge dal provvedimento di amministrazione giudiziaria notificato ieri alla società calcistica di Castellammare di Stabia, un atto di 28 pagine firmato dal giudice Teresa Areniello.
Nel documento si legge chiaramente: “Si che sorge il dubbio che anche la formazione giovanile, uno degli snodi più delicati e strategici per la costruzione di relazioni educative e valoriali, potenzialmente vulnerabili a influenze devianti, sia condizionata dal clan.”
Un dubbio che, sottolineano gli inquirenti, si rafforza alla luce dei nomi e dei ruoli all’interno della società sportiva.
L’ombra del clan nel settore giovanile
Nell’organigramma della S.S. Juve Stabia figura...omissis..., camiciaio di professione, come dirigente del settore giovanile. Il suo nome – si legge nel provvedimento – desta più di una perplessità: “soggetto che ha parentele e contiguità con esponenti malavitosi della zona, una pregressa denuncia per favoreggiamento personale per aver aiutato la latitanza del boss D’Alessandro Michele e, peraltro, che non è legato da alcun rapporto alla società”.
Gli investigatori sottolineano come la sua “presenza stabile e non retribuita in seno al settore giovanile – a che titolo vi è da chiedersi – desta perplessità. Chiara l’infiltrazione, chiaro il condizionamento. Serio, stabile, pericoloso.”
Accanto al camiciaio, figura di spicco è Roberto Amodio, ex calciatore di Napoli, Avellino e Juve Stabia, oggi alla direzione del vivaio. Il suo nome emerge nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pasquale Rapicano, che lo indica come “uno che fa quello che dicono i D’Alessandro” e che “sta nella società Juve Stabia perché imposto dai D’Alessandro.”
Un’accusa pesante, ribadita più volte dal pentito, che lo definisce “un bandito”.Potrebbe interessarti
La festa in villa Comunale e le polemiche politiche
Ma il provvedimento della DDA richiama anche un altro episodio che, già un anno fa, aveva sollevato clamore e polemiche. Si tratta della festa in villa Comunale, con foto di gruppo sul palco insieme a calciatori, dirigenti, amministratori comunali e il sindaco Luigi Vicinanza, e poi anche – come poi emerso – la presenza di tre camorristi.
Da quell’evento nacque prima una denuncia mediatica, poi uno scontro politico tra l’eurodeputato del Pd Sandro Ruotolo e lo stesso sindaco Vicinanza, entrambi giornalisti e un tempo amici.
Le indagini successive hanno confermato i sospetti iniziali: “tutti – si legge nel provvedimento della magistratura – dirigenti della società ed amministratori comunali – avevano quantomeno tollerato, se non addirittura condiviso, l’iniziativa premiale voluta dai capotifoseria camorristi.”
Un particolare colpisce gli inquirenti: il presentatore dell’evento, ascoltato dagli investigatori, ha dichiarato di essere stato “sollecitato in tal senso dal portavoce del sindaco, che gli chiedeva di inserire nella scaletta l’intervento premiale”. Lo stesso presentatore, approfondendo la vicenda dopo il clamore mediatico, racconta di aver scoperto che la richiesta “a monte” era stata avanzata “da un esponente della società Juve Stabia.”
Il ruolo di Pino Di Maio
L’esponente in questione, scrive la magistratura, sarebbe Pino “Pinuccio” Di Maio, attuale dirigente del club, già squalificato per tre anni per una vicenda legata al calcioscommesse. Il suo nome riemerge anche in un’intercettazione in carcere: un boss del clan Cesarano, detenuto in regime di 41 bis, nel corso di un colloquio con il figlio – aspirante calciatore della Juve Stabia – gli avrebbe consigliato, per ottenere più spazio in campo, di “rivolgersi al Di Maio e dirgli di essere il figlio di…”
Un episodio che, per la DDA, è la rappresentazione plastica di un sistema dove il confine tra calcio, potere e camorra si è fatto sempre più sottile.
La Juve Stabia, oggi sotto amministrazione giudiziaria, dovrà ora affrontare non solo l’inchiesta, ma anche la sfida di ricostruire la propria credibilità dopo anni di ombre e di rapporti pericolosi con l’universo criminale di Castellammare.
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