In foto Pino Grazioli e l'avvocato Massimo Viscusi
Napoli – "Assolto perché il fatto non costituisce reato". Con questa pronuncia, netta e definitiva, il Giudice Monocratico della 4ª Sezione Penale del Tribunale di Napoli, Dott. Putativo, ha assolto dalle accuse di diffamazione aggravata il giornalista Pino Grazioli.
La vicenda, nata da una sofferta denuncia social e culminata nella richiesta del Pubblico Ministero di un anno di reclusione, si è conclusa stamane in un'aula di tribunale con la piena affermazione della linea difensiva.
La storia affonda le sue radici in una sera di maggio del 2022. Secondo la ricostruzione dell'allora indagato Augusto Baroni, gli agenti della Polizia Locale di Napoli, intervenuti per sedare un disordine, lo fermarono. Dalle dinamiche controverse di quell'intervento sarebbe nata una colluttazione, al termine della quale Baroni, riportando un trauma cranico, fu ricoverato all'Ospedale Cardarelli con una prognosi riservata di 30 giorni.
Fu da quel letto d'ospedale che Baroni, sentendosi vittima di un sopruso, lanciò il suo appello. Registrò un video in cui esponeva la sua versione dei fatti, un grido di aiuto che affidò al giornalista Pino Grazioli. Quest'ultimo, ritenendo di dover dare voce a una denuncia, pubblicò il filmato sui propri canali social.
La pubblicazione di quel video innescò una reazione a catena. Se da un lato rappresentava la narrazione di Baroni, dall'altro ledeva, secondo la tesi accusatoria, l'onore e la reputazione degli agenti coinvolti.
Fu così che gli stessi poliziotti, sentendosi diffamati, presentarono querela non contro Baroni – già a suo tempo denunciato per oltraggio, resistenza a pubblico ufficiale, calunnia e omessa identificazione – ma direttamente contro il giornalista Grazioli, per il reato di diffamazione aggravata dall'aver utilizzato il mezzo di pubblicità dei social network.
La posizione di Grazioli divenne ancor più delicata con il tragico e improvviso decesso di Augusto Baroni, privando il processo di un testimone chiave.
In udienza, il Pubblico Ministero ha sostenuto con forza l'accusa, chiedendo per il giornalista una condanna a un anno di reclusione. La difesa, affidata all'avvocato Massimo Viscusi che ha condotto un'arringa articolata e diffusa, ha però ribaltato le prospettive.
L'avvocato difensore ha demolito il concetto di una presunta "responsabilità per riflesso" del giornalista. La tesi centrale è stata che Grazioli, nel pubblicare il video, ha agito come un mero megafono di una denuncia già formulata, senza aggiungere commenti lesivi o con l'intento specifico di offendere gli agenti.
Il fatto di aver dato spazio a una notizia di pubblico interesse, la denuncia di un cittadino contro un corpo di polizia, non può essere equiparato alla diffamazione.
Il giudice ha accolto per intero le tesi della difesa. La richiesta di assoluzione in base all'articolo 530, comma 2, del Codice di Procedura Penale – che sancisce l'assoluzione quando il fatto non è previsto dalla legge come reato – è stata riconosciuta pienamente.
La sentenza, quindi, non si limita a dichiarare l'insussistenza delle prove, ma stabilisce un principio più profondo: in questo caso specifico, la condotta del giornalista non ha oltrepassato il confine della liceità. La pubblicazione della testimonianza di Baroni, per quanto dura e accusatoria, non integrava gli estremi del delitto di diffamazione. Una vittoria giudiziaria che per Pino Grazioli suona come una conferma del proprio ruolo.
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La sentenza è stata una sorprese per tutti, ma sono daccordo che il giornalista non avesse intenzione di offendere. È importante dare voce ai cittadini, anche se le situazioni possono essere complicate e delicate come questa.