I condannati della Paranza dei bambini
Napoli - Un nuovo capitolo nella lunga parabola giudiziaria del gruppo criminale della "Paranza dei bambini", il clan di baby camorristi che negli anni scorsi mise a ferro e fuoco il centro storico di Napoli, scrivendo una delle pagine più cupe della camorra di nuova generazione.
La quinta sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Catena, ha messo la parola fine su parte dell’inchiesta che nel 2021 portò all’azzeramento dell’ultima frangia attiva del gruppo Sibillo, la cosca che aveva trasformato i Decumani e piazza San Gaetano in un laboratorio di violenza e criminalità giovanile.
L’inchiesta aveva mostrato come la parabola criminale del clan Sibillo non si fosse limitata al racket e al traffico di droga. Negli ultimi anni il gruppo aveva esteso i propri interessi al mercato della prostituzione, trasformandolo in una fonte di guadagno costante.
Secondo gli inquirenti, a gestire l’affare sarebbe stato proprio Giuseppe Gambardella, figura di spicco della paranza, che – nonostante la detenzione – riusciva a impartire ordini tramite un telefono cellulare. A fare da “occhi e orecchie” sul territorio la moglie Carmela Napoletano, figlia di Giosuè e sorella di Antonio ’o nannone.
Le intercettazioni hanno svelato i retroscena del business. In un sms del 10 aprile 2019, Gambardella scriveva alla moglie: «Amo sto a casa, agg pigliat pure e sord a de puttan e po so gliut». Pochi giorni dopo, in una conversazione registrata, la donna spiegava: «So no uscita un attimo fuori, perché voglio vedere se questa prostituta è venuta che mi deve dare il 20 euro, il 10 euro». L’attesa si prolungava e la frustrazione emergeva con parole dure: «Mi stanno facendo andare avanti e indietro, quella puttana non c’è proprio».
La parabola del clan Sibillo, nato dal vuoto di potere nel cuore di Napoli e diventato simbolo della violenza dei baby boss, è ormai segnata da arresti e condanne. La Cassazione, con quest’ultima decisione, conferma ancora una volta il crollo di quella struttura che aveva provato a trasformare i vicoli del centro storico in un fortino criminale.
I supremi giudici hanno infatti respinto i ricorsi presentati da cinque affiliati e fiancheggiatori, rendendo definitive le loro condanne:
Fabio Rivieccio, detto Cocò: 6 anni e 8 mesi
Antonio Iodice, alias ’o chiov: 5 anni e 6 mesi
Giuseppe Gambardella: 3 anni e 8 mesi
Annunziata Ingenito: 3 anni e 4 mesi
Gaetano Portanova: 2 anni e 8 mesi
Carmela Napoletano: pena confermata (non specificata nei dettagli, ma coinvolta nell’inchiesta insieme al marito Gambardella)
Per loro non ci saranno ulteriori appelli: le pene diventano definitive.
Diversa la sorte per altri tre imputati: Maria “Miriana” Sabatelli, Assunta Manzo (madre del baby-killer Antonio Napoletano, alias ’o nannone) e Alberto Volpe. La Cassazione ha accolto i ricorsi delle difese e disposto un nuovo processo.
In particolare, per Sabatelli – condannata in appello a 10 anni di reclusione – è stato annullato il riconoscimento del ruolo di capo e promotore del clan. Per Volpe, già destinatario di una condanna a 11 anni, e per Manzo, che aveva rimediato 4 anni, gli Ermellini hanno ritenuto insufficientemente motivate le aggravanti legate alla recidiva. La partita giudiziaria, dunque, per loro resta ancora aperta.
(nella foto da sinistra Fabio Rivieccio, Antonio Iodice, Giuseppe Gambardella e Annunziata Ingenito)
Questo articolo è stato pubblicato il 22 Settembre 2025 - 09:25
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L'articolo parla della camorra a Napoli e delle condanne dei membri del clan Sibillo, ma ci sono tante persone che non sanno come fare per uscire da questa situazione di violenza. La giustizia sembra lenta e le pene non sempre sono adeguate.