Messina – Era un suicidio annunciato, eppure nessuno è riuscito a evitarlo. Stefano Argentino, 24 anni, reo confesso dell’omicidio della studentessa universitaria Sara Campanella, si è impiccato nella sua cella nel carcere di Gazzi (Messina) mercoledì mattina, nonostante avesse più volte manifestato intenzioni suicide e fosse stato, almeno formalmente, sotto sorveglianza rafforzata.
Ora la Procura di Messina ha messo nel mirino sette persone, tra dirigenti penitenziari, psicologi e psichiatri, per accertare eventuali negligenze che avrebbero portato alla tragedia.
UN CASO DI “NON ASSISTENZA”?
Argentino, già in regime di osservazione speciale per il suo stato psicologico, era stato reinserito in cella con altri detenuti appena 15 giorni prima del suicidio. Una scelta che oggi appare incomprensibile, considerando che il giovane aveva più volte espresso desideri di morte.
La Procura indaga ora su:la direttrice e la vice direttrice del carcere, l’addetto ai servizi trattamentali e l’équipe di psichiatri e psicologi che lo avevano in cura,
L’autopsia, fissata dopo il 12 agosto, sarà cruciale: gli indagati potranno nominare i loro consulenti, ma i dubbi restano. Perché un detenuto fragile e a rischio è stato lasciato solo? Perché, nonostante i segnali evidenti, il sistema non lo ha protetto?
UN OMICIDA, MA ANCHE UNA VITTIMA DEL SISTEMA?
Argentino aveva confessato l’omicidio di Sara Campanella, strangolata nel 2022, e attendeva il processo. Ma la sua morte riapre un altro dramma parallelo: quello di un carcere incapace di gestire il disagio mentale. Se la giustizia lo aveva condannato a scontare la pena, non lo aveva condannato a morire abbandonato.
Ora la domanda è una sola: chi ha fallito? La risposta potrebbe arrivare dal tavolo degli indagati. Intanto, un altro nome si aggiunge alla lista delle vittime del sistema.
Articolo pubblicato da A. Carlino il giorno 9 Agosto 2025 - 15:11
Lascia un commento