Samuele Carrino racconta una storia di sensibilità e coraggio
Ospite, durante la quindicesima edizione del Social World Film Festival tenutasi a Vico Equense dal 23 giugno al 29 giugno, il giovane attore Samuele Carrino, protagonista del film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”.
Un prodotto audiovisivo che sposa in pieno la mission della Mostra Internazionale del Cinema Sociale, ossia quella di proporre al pubblico delle narrazioni impattanti nella contemporaneità che smuovano gli animi e le coscienze, stimolando così dei dibattiti e delle riflessioni.
Il film, per la regia di Margherita Ferri è uscito nel 2024, racconta la storia vera di Andrea Spezzacatena, adolescente romano di 15 anni che nel novembre 2012 si tolse la vita dopo ripetuti episodi di bullismo e cyberbullismo omofobico.
L’episodio scatenante? Un paio di jeans diventati rosa per errore in lavatrice, presto presi di mira e usati come pretesto dai compagni di scuola. Andrea fu vittima di offese, isolamento e un’umiliante pagina Facebook a lui dedicata, scoperta solo dalla madre dopo il suicidio.
Carrino si è raccontato agli studenti della masterclass e alla stampa, spiegando come ha vissuto l’esperienza sul set e come si è calato nei panni di un personaggio così importante ed intimistico da raccontare.
“Ho sentito un grande peso sulle spalle – ha esordito – ancora prima di essere scelto per il personaggio. Quando è arrivata la conferma, ho deciso davvero di metterci tutto il cuore e tutta l’anima. All’inizio mi sembrava molto complicato, avevo molta paura. Poi ho capito che Andrea era un ragazzo come tutti noi, che voleva solo essere se stesso… ma non gli è mai stata data davvero quella possibilità.
Quando ho compreso questo, ho visto che era un ragazzo solare, simpatico, amico di tutti, seppure gli altri non lo riuscissero a comprendere. Secondo questa modalità, è diventato più semplice approcciarsi a lui sul set. Si è trattato di un progetto complicato da realizzare ma necessario, devo ringraziare la vita per questa opportunità: ha unito tutti noi del cast”.
Tra le prove attoriali ed emotive più difficili e toccanti da affrontare, ha citato: “La scena dell’abbraccio con la madre ha smussato molto la mia sensibilità. Si pensi che l’abbiamo realizzata durante il primo giorno di riprese, l’abbiamo voluta affrontare subito”.
Una scena che inevitabilmente lo ha introdotto in un processo catartico e lo ha condotto a misurarsi con la sua semplice e quotidiana vita di adolescente: “Con mia madre non ho segreti, nemmeno uno. Lei li scopre subito! Ma Andrea… Andrea aveva tantissimo da dire e non riusciva. Portava dentro una cosa enorme. E quella consapevolezza mi ha fatto piangere davvero mentre recitavo. Lo stesso è accaduto a Claudia Pandolfi”.
Un’altra scena sfidante a livello psicologico è stata una corale in un bagno, in cui è occorsa una preparazione molto particolare che facesse sentire tutelati e seguiti gli attori durante i ciak: “Quel giorno erano presenti gli intimacy coordinator, figure nuove, il cui compito è proprio quello di fare sentire a loro agio il cast artistico.
Ma debbo ammettere che l’ansia non mi è passata tanto facilmente… Era una scena molto tecnica, piena di coordinazione fra i personaggi. Ci siamo confrontati tanto tra noi nei camerini, insieme a tutti i ragazzi coinvolti. Alla fine, l’abbiamo girata e scorreva bene, risultava vera”.
Per quanto concerne, invece, l’accoglienza del film, ha dichiarato: “Ho trovato emozionante il fatto che, a seguito delle proiezioni, molti studenti e molte classe scolastiche abbiano iniziato a ragionare sul film e a denunciare molti avvenimenti di bullismo simili”.
Una gratificazione personale e collettiva, data la profondissima causa sociale che serba il progetto cinematografico. Proprio per tale motivo, Carrino ha raccontato come sono stati gestiti diversi episodi incresciosi, in cui si è verificata della tensione in sala: “Al Festival del Cinema di Roma, alcune persone in sala hanno fatto commenti spiacevoli. Noi siamo entrati dopo, quindi non abbiamo assistito in diretta. Però se fossimo stati lì, io avrei voluto invitarli sul palco per un confronto, per chiedere: “Perché pensi questo?”
Un altro episodio ha riguardato alcune scuole: alcuni genitori non volevano che i figli vedessero il film, dicevano che era troppo forte, senza nemmeno averlo visto. Ma poi, grazie al passaparola, in tanti si sono ricreduti.
Anche nel caso del Festival, ho voluto vedere il lato positivo: almeno i bulli sono emersi, si sono rivelati agli occhi di tutti”, un’operazione di sensibilizzazione delle masse che è partita dai medesimi attori che si sono confrontati con il pubblico, cercando di far comprendere l’urgenza sociale che serbano le tematiche del bullismo e del cyberbullismo. Situazioni come quelle raccontate fanno evincere quanto siano necessari tali film e quanto sia fondamentale commentarli insieme ancor di più di visionarli singolarmente.
Il cinema può insegnare tanto e aprire la mente verso nuove prospettive e visioni, riesce a fare suonare le corde dell’anima più recondite. “Progetti come questi cambiano gli attori. Ho iniziato il film in un modo e l’ho finito con uno sguardo diverso. Ora sto molto più attento a chi magari soffre di bullismo, a chi ha difficoltà a fare amicizia. Io faccio amicizia anche con i sassi, davvero. E adesso lo faccio con più consapevolezza.
Il cinema insegna tanto sia agli attori sia agli spettatori. Questo film ha trasmesso una morale importante sia ai ragazzi sia a genitori. Ha fatto capire come certe cose non vadano commesse e come certi comportamenti vadano riconosciuti e corretti – ed ha concluso facendo un appello – Bisogna crescere i figli nel rispetto, nella sensibilità e nella comprensione del prossimo”.
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