Il Rarrǝca Festival si è concluso domenica 6 luglio, ma la sua eco continua a risuonare. L’energia sociale sprigionata nei due giorni di incontri ha generato uno sguardo solidale, consapevole, responsabile. Un punto d’incontro tra esperienze diverse che si sono intrecciate fino a diventare racconto e poi memoria condivisa.
Filo conduttore di quest’anno è stata la resistenza quotidiana, culturale, identitaria: il vivere i luoghi, il rimanere fedeli ai propri valori, lo stare tra le persone. E soprattutto il ritorno, inteso come “restanza” — un neologismo carico di significato, che racconta la permanenza come forma di cura e costruzione di comunità.
È per questo che vogliamo continuare a raccontarvelo, attraverso l’unicità dei personaggi che lo hanno attraversato lasciando la propria impronta e la propria identità.
In questo spazio fertile, si è ben inserita la voce di Sabrina Efyonai. La sua scrittura, fedele al proprio sentire, si è rivelata profondamente in sintonia con lo spirito del festival ed il ruolo della letteratura come ponte tra intimità e realtà collettiva.
L’abbiamo incontrata durante una pausa della manifestazione. Il suo sorriso e lo sguardo sereno sul mondo circostante tradiscono un vissuto attento, osservato a lungo, una disponibilità autentica al dialogo, alla condivisione. Invitata per presentare il suo nuovo romanzo, Padrenostro (Feltrinelli), Sabrina Efionayi ha conversato con Simona Cafaro e Giancarlo Piacci, membri del team organizzatore, offrendo al pubblico una riflessione intensa su scrittura, identità e sulla forza generativa delle storie.
Hai esordito con “Addio a domani”, un’opera autobiografica che prende la forma del memoir . Ti ha guidato il bisogno di raccontare te stessa o l’urgenza di dare forma a un progetto narrativo più ampio? E come ti sei riconosciuta, da lì, nel ruolo di scrittrice?
- Sono approdata al ruolo di scrittrice, direi quasi per caso. Ho iniziato, come pochi sanno, quando ero molto più piccola: scrivevo su un blog online, intorno ai 13-14 anni, e lì sono stata notata da un direttore della Rizzoli. È stato lui a permettermi di pubblicare i miei primi romanzi sotto pseudonimo. Erano romanzi d’amore, storie per ragazzi — coetanei, in fondo, visto che io avevo 16 anni.
- Dopo questi primi libri, tra i 16 e i 17 anni, ho sentito il bisogno di cambiare linea narrativa, di cercare qualcosa di più personale. Volevo raccontare una storia che, pur non essendo del tutto autobiografica, toccasse temi a me molto vicini, legati all’identità. La scintilla è arrivata poco dopo il caso di George Floyd, che poi, tra l’altro, è l’epilogo di Addio a domani.
- È stato un momento che mi ha dato la spinta per raccontare una storia che potesse parlare anche all’Italia contemporanea, a quell’Italia fatta di ragazze e ragazzi di seconda generazione. La scrittura di Addio a domani è nata sia da un’urgenza personale, sia da un desiderio più profondo — anche se inizialmente non pensavo sarebbe diventato un vero e proprio percorso da scrittrice.
- Poi però le cose si sono incastrate alla perfezione: ho incontrato editori che si sono fidati di me, che hanno creduto nel mio modo di raccontare. Ed è lì che ho capito di voler continuare a scrivere, soprattutto per dare voce a storie che spesso restano inascoltate.
Con “Padrenostro”, dopo il memoir d’esordio, hai pensato di approfondire temi intimi come quelli del primo libro da una prospettiva più universale?
- Dopo Addio a domani ero convinta che mi sarei distaccata – forse anche completamente – da tutto ciò che era l’aspetto personale. Sentivo di aver messo a nudo la mia storia, quella della mia famiglia, delle mie madri. Avevo bisogno di una boccata d’aria, di tornare un po’ alla finzione che aveva preceduto quel romanzo. E invece, quando ho cominciato a lavorare a Padrenostro, è venuta fuori quasi come una costola di Addio a domani.
- I personaggi sono resi volutamente irriconoscibili, e l’ambientazione è in un quartiere popolare di Napoli, Forcella. Ma in realtà la storia di Lisa, la famiglia Caiazzo… sono vicinissimi a me. Lisa è, in qualche modo, una maschera che ho messo sul volto e sulla vita di quella che era la mia migliore amica durante l’adolescenza.
Le parole dell’autrice rivelano quanto il confine tra finzione e vissuto resti sottile. Dietro la storia di Lisa c’è un’amicizia adolescenziale segnata da un contesto familiare rigidissimo, patriarcale, in cui la figura paterna esercitava un controllo tale da negare perfino il diritto alla giovinezza. Un’esperienza che purtroppo resta attuale e che l’ha spinta a trasformarla in racconto.
Che ruolo ha Napoli nella tua scrittura; è una scelta affettiva o narrativa? In futuro pensi di ambientare altrove i tuoi lavori?
- Io ho sempre avuto un legame molto forte con Napoli. Anche se sono nata a Castel Volturno, ho vissuto a lungo a Licignano e la mia famiglia è napoletana. Quindi, tra provenienza e quotidianità, Napoli è sempre stata una presenza costante. Poco tempo fa ho parlato con una scrittrice che ha ambientato il suo libro a Napoli ma senza mai nominarla.
- Era un lavoro molto raffinato, che lasciava al lettore la libertà di immaginare qualsiasi altra città. Io invece ho scelto consapevolmente di nominare Napoli, di raccontarla apertamente, con tutte le sue contraddizioni. Napoli è per me una città in cui il bello si sovrappone continuamente al brutto, generando storie affascinanti e autentiche. La storia della famiglia Caiazzo, per esempio, pur provenendo da un contesto più provinciale, l’ho voluta inserire in una cornice urbana come quella napoletana.
- Napoli è una città in costante cambiamento, aperta, moderna, ma conserva anche ambienti chiusi, profondamente tradizionali, dove possono verificarsi dinamiche che sembrano anacronistiche e invece esistono ancora oggi.
Ripensando a “Addio a domani, oggi c’è qualcosa che racconteresti in modo diverso, alla luce di ciò che hai scritto in Padrenostro?
- Sì, assolutamente. Addio a domani oggi mi appare come un libro molto giovane, forse anche poco maturo in certi tratti. È stato un lavoro catartico, avevo bisogno di scrivere quella storia, ma col senno di poi avrei voluto prendermi più tempo per lavorarla meglio. Avevo 16-17 anni quando ho cominciato a scrivere, ed ero appena entrata nel mondo editoriale.
- Con l’esperienza che ho maturato in questi anni, forse affronterei alcune tematiche con più profondità e con più strumenti. Addio a domani mi ha insegnato che un libro non deve avere fretta. Un libro ha bisogno di respirare. Di sedimentarsi prima nelle pagine private di chi lo scrive, poi in quelle pubbliche.
C’è un genere narrativo che ti piacerebbe esplorare in futuro?
- Ho sempre pensato di essere lontana dalla saggistica, perché non credevo di avere gli strumenti per affrontarla con l’autorevolezza necessaria. Ma oggi, anche se c’è una certa saturazione editoriale su alcuni temi, sento l’esigenza di raccontare la condizione femminile nel Sud Italia.
- Un femminismo più intersezionale, capace di accogliere le voci delle donne del Sud, le loro storie d’amore, le loro difficoltà quotidiane. Credo che oggi il femminismo debba approdare su tutte le spiagge possibili — per usare una metafora — e non limitarsi a un solo tipo di donna. Serve uno sguardo più ampio, più sfaccettato.
Sabrina Efionayi incarna perfettamente il sostrato argomentativo del Rarrǝca Festival. Dal racconto di sé alle storie degli altri, restituisce con autenticità temi visibili e sommersi, accendendo l’attenzione su ciò che spesso resta ai margini.
Ed è proprio nella cura con cui sono stati scelti i protagonisti di questo esordio — intenso, collettivo, indimenticabile — che risiede il valore profondo del Rarrǝca Fest: la capacità di generare ascolto, memoria e pensiero critico. Con questi reportage vogliamo prolungarne l’effetto, lasciando che le sue voci continuino a risuonare e a dialogare con il nostro pubblico.
Articolo pubblicato il giorno 8 Luglio 2025 - 08:22
Il festival Rarrǝca ha portato a galla temi importantissimi, ma ho trovato che la scrittura di Sabrina è un po’ complicata da seguire. Alcuni passaggi sembrano confusi e non sempre chiari. Magari ci sarebbero voluti piu’ esempi concreti.