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La Vallée de l’Égrenne porta l’arte dell’improvvisazione al cuore del Rarrǝca Festival”

La poetica di Iris e Pierre sul palco di Caggiano”



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Caggiano – Sabato 5 luglio, nell’ambito della prima edizione del Rarrǝca Book Festival a Caggiano,  tra le numerose proposte stimolanti ed originali, si è tenuto il laboratorio teatrale d’improvvisazione Essere comunità, curato dalla compagnia La Vallée de l’Égrenne.

Gli artisti Pierre Bidard e Iris Pucciarelli, originari rispettivamente di Lione e della Normandia, membri di questa realtà artistica dagli stessi fondata nel 2019, hanno invitato i partecipanti ad immergersi in pratiche teatrali basate sulla narrazione condivisa. Guidati con sensibilità e competenza, i partecipanti hanno preso avvio da esperienze personali, creando forme di finzione capaci di riflettere il vissuto in profondità.

Visioni artistiche e comunità locale — tra ascolto e creazione — si sono incontrate a Caggiano, trasformata per l’occasione in una vera e propria cornice urbana di sperimentazione teatrale, realizzando così il fine stesso del festival: attribuire al territorio un’identità culturale, promuovendo relazioni umane nate dall’impulso creativo.


Approfittando di una pausa della manifestazione, abbiamo colto l’occasione per approfondire con Iris e Pierre la loro poetica teatrale e il legame con l’evento in corso, che pone come elemento fondante il tema delle radici. Intensamente concentrati sul loro percorso e profondamente affiatati, i due artisti sono animati da un’energia tanto determinata quanto delicata, che li proietta in una ricerca sincera e profonda dell’umano.

Durante la nostra conversazione, è emerso con chiarezza il loro approccio al lavoro e quel senso di missione che permea ogni loro creazione. Per facilità di lingua, la conversazione si è svolta con Iris, con il contributo costante di Pierre, che interagiva e si confrontava con lei in francese. Ecco che cosa ci hanno raccontato.

Essere comunità è il titolo del vostro laboratorio: che cosa significa per voi fare comunità attraverso il teatro?

  • Per noi è proprio lì, nel teatro, che abbiamo trovato la nostra comunità. Abbiamo tratto ispirazione dal libro Coltivare l’appartenenza al luogo di Bell Hooks. Lei racconta di aver vissuto un esilio, un allontanamento dal suo luogo d’origine, che le ha causato grande sofferenza. Non pensava di poterci tornare, ma poi lo ha fatto—e ha trovato casa. Cercava casa da tanto tempo, senza immaginare che fosse nel suo stesso luogo d’origine. Nella mia storia personale ho molte “case”: mio padre è italiano, mia madre polacca, ho vissuto in Francia, e in fondo la comunità che ho trovato è sbocciata proprio grazie al teatro.

Come avete strutturato il laboratorio a Caggiano? Quali pratiche o linguaggi avete scelto per coinvolgere i partecipanti?

  • Noi utilizziamo diversi linguaggi e pratiche per coinvolgere il pubblico. Alterniamo documentario e finzione. Le nostre creazioni teatrali nascono da documenti reali o esperienze personali, e da lì costruiamo la finzione. A proposito di oggi, una cosa bella è che durante il laboratorio i partecipanti hanno interpretato storie altrui: qualcuno ha raccontato la propria esperienza, e un altro l’ha riformulata, dandole voce davanti agli altri.
  • Così si è creata una forma di narrazione condivisa. Molti partecipanti hanno detto che quelle versioni erano più fedeli al vissuto di quanto loro stessi sarebbero riusciti a raccontare. Una partecipante ha osservato che la modalità in cui l’altro ha espresso la sua storia era più coerente, più autentica. Spesso è difficile trovare le parole giuste per ciò che sentiamo. Quando qualcun altro le racconta, è come se cogliesse i nodi essenziali.

Il riferimento a bell hooks pseudonimo di Gloria Jean Watkins – figura influente nel femminismo e nel pensiero critico americano – è esplicito nel titolo. In che modo il suo pensiero ha orientato il vostro lavoro?

  • Il suo pensiero ha influenzato fortemente il nostro lavoro. Lei parla delle montagne, del senso di libertà che ha trovato lì.  Per me la montagna è Caggiano. È il luogo dove ho sempre sentito pace.Da un po’ cerchiamo di lavorare sul tema della “casa”, non come luogo fisico, ma come posto dell’anima. Bell Hooks lo descrive benissimo. Per questo abbiamo deciso di cominciare proprio da Caggiano, con le persone del posto. Lo scorso anno abbiamo raccolto interviste sul loro legame con il paese—è un legame fortissimo, radicato.
  • Chi è nato qui si identifica profondamente con l’essere “caggianese”.Anche per noi, nel nostro percorso di vita e nella nostra identità, c’è questa ricerca: capire se Caggiano può essere quel posto che possiamo chiamare casa. Anche bell hooks lo dice del Kentucky, il suo luogo d’origine. Lei può dirlo perché ha vissuto lontano. È tornata alle origini per trovare casa, quando non l’ha trovata altrove.
  • Quindi è la domanda che poniamo: è possibile per ciascuno trovare quel luogo dove sentirsi in pace? Io penso che esista, quel posto. E magari non ci vivi, ma sai che puoi tornarci. Alcuni lo hanno detto. Quello che è interessante, però, è ciò che bell hooks aggiunge: l’idea che la comunità non si trova, ma si coltiva. Quindi, per costruirla, bisogna stare in quel luogo, viverlo. Anche io, che venivo qui a Caggiano solo due mesi l’anno, dopo un po’ ho iniziato a non sentirmi più “di casa”. Perché la gente che ci vive tutto l’anno, che è nata qui, lo sente davvero come proprio. E tu, invece, cominci a sentirti estranea, distante.

Che ruolo ha l’improvvisazione nel vostro processo di ascolto e co-creazione?

  • È una materia fondamentale del nostro lavoro. L’improvvisazione crea uno spazio e cerca la verità. Nel teatro il corpo e la mente sono legati, e quando improvvisi, non hai tempo di razionalizzare. Quello che senti esce subito, in modo spontaneo. Nel nostro caso, creiamo spesso spettacoli in duo. Non co-creiamo direttamente con i partecipanti, ma nei laboratori sì. L’improvvisazione è anche lo strumento che usiamo per scrivere. Le parole nascono dalla scena.

Caggiano ha un’identità locale molto forte. Che cosa avete scoperto in più, attraverso i partecipanti?

Bella domanda. Direi che l’identità del luogo è profonda, ma mi ha colpito quanto vada oltre il visibile. Abbiamo cominciato a chiederci: dove finisce l’identità? Fino a dove si estende l’immaginario? Quanto è grande il legame che si sente? Credo che sia ancora più forte di quanto pensassi.

Già lo scorso anno, durante le interviste, è emerso chiaramente: il legame affettivo con Caggiano è intenso, profondo. Grazie al teatro, lo stiamo esplorando ancora. È difficile da spiegare, perché sapevo che il legame c’era, ma non immaginavo che fosse così legato alla natura. Loro parlano moltissimo di natura. Per loro, il legame con Caggiano è profondamente legato a questo.

La vostra compagnia ha un nome che richiama un passaggio rurale. Com’è nato?

  • Pierre è nato in un paesino che si chiama Lone-Labei, in Normandia, dove scorre un piccolo fiume, l’Égrenne. La “La Vallée de l’Égrenne” è un nome antico, e ci piaceva proprio per il suo legame con la natura, qualcosa di poetico. Crediamo che l’immaginario abbia bisogno di spazi belli per liberarsi.
  • La natura è fonte di ispirazione e creazione. Più si è in sintonia con ciò che ci circonda, più la creazione diventa viva. Abbiamo scelto quel nome anche perché il luogo da cui proveniamo non ha niente: non c’è teatro. Quindi creare qualcosa proprio lì, far nascere qualcosa dove non c’era nulla, è stato un gesto importante.

Quali sono le sfide nel proporre un teatro di comunità e che cosa intendete per” comunità situata”?

  • La sfida è sempre quella: ricreare ogni volta una comunità. Una comunità teatrale è effimera—dura poco, nasce e poi si dissolve. In quel tempo limitato, bisogna essere presenti, attenti l’uno all’altro, in modo intimo e profondo. Non è mai una conquista permanente. A volte il gruppo funziona, altre meno. Ma il teatro è proprio questo: creare qualcosa insieme che vive solo in quel momento. Come la rappresentazione teatrale, che accade e poi svanisce.
  • Creare un luogo condiviso dove ci si possa sentire parte di qualcosa, dove si pensa e si sente collettivamente ciò che accade sulla scena. La comunità situata è legata all’improvvisazione: scegliamo delle situazioni molto precise, come ad esempio un dialogo tra padre e figlio, per far nascere l’improvvisazione. “Situata” non fa riferimento al luogo. È la situazione che scegliamo a essere “situata”, che rappresentiamo e da cui creiamo. — E come si scrive una scena quando il copione è la vita reale? — È come… premere la frutta per estrarne il succo. Devi spingere a fondo, finché ne esce il nettare. — Si dice che in una scena si possono raccontare dieci anni. — Non sono d’accordo. Per me è un’altra cosa. È un processo diverso.

E la vostra collaborazione con il Rarka Book Festival? Che tipo di alleanza può nascere?

  • So che qui c’è tanta gente con voglia di fare, ma è difficile perché bisogna ripartire da zero: mancano attività culturali continuative.  È bellissimo che siano riusciti ad organizzare qualcosa quest’anno. Spero si ripeta! — Il festival è un grande stimolo per la cultura.

Avete progetti in corso?

  • Ci stiamo lavorando da tre anni. Non vediamo l’ora di farlo. Si chiama La fuite (La fuga), ma in francese ha un senso più profondo: non solo scappare, ma anche evadere, cercare uno spazio nuovo. Siamo in tre sul palco, noi due più un musicista.

Salutiamo Iris e Pierre con un raro senso di quiete e armonia. Il loro modo di vivere il teatro è delicato, coerente e profondamente umano. Non si limitano a proporre pratiche artistiche: condividono tempo, uno spazio in cui ci si può fermare e riconoscere. Essere comunità, in fondo, è anche questo: creare luoghi che trascendono la geografia, trasformando lo spazio in terreno di scambio, dove l’arte diventa riflessione e possibilità.

RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo pubblicato il giorno 9 Luglio 2025 - 09:40


2 Commenti

  1. L’articolo è interessante ma ci sono alcuni punti che non mi sono chiari, come le pratiche specifiche utilizzate nel laboratorio. Vorrei sapere di più su come si è sviluppato il processo creativo, soprattutto con i partecipanti.

  2. Sono d’accordo con Eliziario54, il tema delle radici è affascinante e mi chiedo anche io come gli artisti riescano a integrare le esperienze personali con il teatro in modo così profondo. Magari ci sarà un seguito.

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