Carceri al collasso, serve intervento urgente e deciso
Le carceri italiane sono al collasso e il carcere di Poggioreale è l’emblema di un sistema penitenziario che ha smesso da tempo di essere costituzionalmente tollerabile. In piena estate, con le celle roventi e l’aria irrespirabile, l’Osservatorio regionale campano sulle condizioni delle persone private della libertà personale lancia un grido d’allarme che è anche una denuncia: “Oggi la detenzione è tortura”. Il sovraffollamento medio ha raggiunto il 130%, ma in istituti come Poggioreale la soglia ha superato il 160%, con oltre duemila detenuti stipati in spazi pensati per meno della metà.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha recentemente parlato con chiarezza: le carceri italiane versano in condizioni “gravi e ormai insostenibili” e vanno ripensate come spazi che includano non solo la custodia, ma anche la socialità, l’affettività e la rieducazione. Parole che, però, sembrano cadute nel vuoto. Per l’Osservatorio, le celle diventano fornaci d’estate, con detenuti costretti a dormire sulla terza branda, a pochi centimetri da soffitti incandescenti, mentre i cortili per l’ora d’aria vengono utilizzati solo nelle ore più calde, rendendo impossibili anche le attività nei tenimenti agricoli o nelle serre.
La realtà documentata quotidianamente dagli operatori dell’Osservatorio è chiara e inconfutabile: si vive, o meglio si sopravvive, in condizioni indegne, in cui le regole basilari della dignità umana sono calpestate. E con l’imminente arrivo della pausa estiva, il rischio è che l’abbandono e l’isolamento crescano ancora: meno agenti, meno personale di supporto, meno possibilità di chiedere aiuto.
La richiesta è drastica ma necessaria: svuotare subito le carceri con misure straordinarie, come la liberazione dei detenuti con pene inferiori a 12 mesi (escludendo i reati ostativi), e riaprire il dibattito sulla proposta Giacchetti per una liberazione anticipata speciale, già sperimentata dopo la sentenza Torregiani. Interventi che, oltre a ridare fiato a un sistema morente, riporterebbero lo Stato a rispettare il proprio dettato costituzionale, riconoscendo nei detenuti delle persone e non solo dei corpi da punire.
Il Paese, ammonisce l’Osservatorio, deve decidere se continuare a ignorare questa vergogna o se riprendere il cammino verso una giustizia che non punisce con la sofferenza ma con la responsabilità. In gioco non c’è solo la condizione dei detenuti, ma la credibilità stessa di una democrazia che ancora si vuole dire civile.
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