Acerra, i giardini di via Palatucci dove è avvenuta l'aggressione
Acerra – Questa volta è mancato un soffio. Solo il caso, o forse la fortuna, ha impedito che un’altra ragazza venisse uccisa per aver avuto l’“ardire” di chiudere una relazione.
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A farne le spese è stata una 19enne di Acerra, aggredita insieme alle sue amiche dall’ex compagno, un operaio incensurato di appena vent’anni. È piombato su di loro a bordo di uno scooter, le ha travolte e poi si è dato alla fuga. Nessuna vittima, stavolta. Ma poteva finire in tragedia.
I carabinieri lo hanno arrestato poche ore dopo: il giovane si trova ora nel carcere di Poggioreale con le accuse di atti persecutori, maltrattamenti, lesioni e percosse. Ma la riflessione è più ampia: chi insegna ai ragazzi – già uomini nei gesti, bambini nella gestione delle emozioni – che la libertà di una donna non è una colpa? Che la fine di un amore non è una condanna a morte?
Il ragazzo non accettava la fine della relazione, durata nove mesi e interrotta cinque mesi fa. La sua ex lo aveva lasciato per l’eccessiva gelosia e per quei comportamenti sempre più ossessivi e violenti.
Un’escalation mai denunciata ma documentata dalla vittima, che aveva conservato foto delle ferite e dei lividi causati da schiaffi e morsi.
L’episodio si è consumato nel cuore di una serata d’estate, nei giardini comunali di via Palatucci. La ragazza era seduta su una panchina con le amiche, cercava solo un po’ di normalità, un momento di leggerezza. Ma lui la stava cercando.
Quando l’ha trovata, ha perso ogni freno. Le urla, lo schiaffo, la corsa per sfuggirgli. Poi l’attacco: in sella a uno scooter, ha puntato dritto verso di lei e le altre tre ragazze, investendole. Ferite, ma vive.
Il giorno dopo, finalmente, la 19enne trova il coraggio di denunciare tutto. Racconta agli investigatori anche i precedenti episodi: le minacce sotto casa, le aggressioni verbali, l’auto danneggiata, persino uno sputo in pieno centro. Una persecuzione costante, mai interrotta.
Di fronte a fatti come questi, la domanda è sempre la stessa: quante volte ancora? Quante donne dovranno essere ferite – o peggio – prima che si riconosca l’urgenza culturale del problema? Questa non è solo cronaca nera. È un fallimento educativo. Un ragazzo di vent’anni che vede la libertà altrui come un affronto è un prodotto diretto di una società che ancora tollera, minimizza, giustifica.
Chi insegna a questi ragazzi che l’amore non è possesso? Che non esiste un “non posso vivere senza di te” che giustifichi la violenza? E dove siamo noi – come adulti, famiglie, scuole, istituzioni – quando questi segnali cominciano a emergere? Questa volta la ragazza è viva. Ma sarebbe bastato poco. Troppo poco.
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