Ospite, durante l’ultima giornata della quindicesima edizione del Social World Film Festival di Vico Equense, il regista romano Claudio Giovannesi per parlare con gli studenti delle masterclass, la stampa ed il pubblico del suo film “Hey Joe”, opera che è stata proiettata presso il CineTeatro Aequa ed è fuori concorso nella sezione Grande Schermo.
Protagonisti della pellicola sono Francesco Di Napoli, James Franco e Francesca Montuori. La trama gravita intorno il personaggio di Dean Barry, un veterano americano che ha avuto una relazione con una ragazza napoletana durante la Seconda guerra mondiale e ritorna in Italia, a Napoli, all’inizio degli anni 70, per conoscere suo figlio Enzo e cercare di recuperare venticinque anni di assenza.
Giovannesi ha raccontato la genesi del progetto audiovisivo: “La sceneggiatura la scrissi di concerto con è Giordano Meacci ma l’idea nacque da un racconto che mi venne letto al telefono: parlava di un soldato americano che, tornato dal Vietnam, cercava un figlio che non aveva mai conosciuto. Era il suo tentativo di avere una seconda possibilità nella vita. Da lì, abbiamo pensato di farne un film”.
Sempre sull’embrione dei suoi lavori e sulle motivazioni che lo convincono ad iniziarli, ha dichiarato: “Inizio sempre dai personaggi. È da lì che nasce tutto. Un personaggio porta con sé una rete di relazioni, vive un conflitto interiore ed esteriore, e abita un luogo. Quel luogo è fatto di altri esseri umani. Quando riesco a sentire la verità di questi legami, nasce in me la voglia di raccontare. È quello che mi muove ogni volta”.
Per quanto concerne, invece, il lavoro di ricostruzione e di documentazione degli anni storici in cui è ambientato il film: “È stato un processo lungo e complesso. Non avevo mai girato un film d’epoca, quindi avevo bisogno di crederci pienamente, di non inventare nulla. Con lo scenografo abbiamo ricostruito luoghi come la base NATO, partendo da un lavoro di studio molto approfondito. Abbiamo consultato materiali d’archivio, fotografie, documenti… volevamo letteralmente costruire una macchina del tempo. Ci sono voluti due anni solo per la fase di scrittura e progettazione scenica”.
“Hey Joe” è, inoltre, un film che testimonia il sodalizio artistico ed umano del regista con il giovane attore napoletano Francesco Di Napoli, il quale ha esordito ne “La paranza dei bambini” nel 2019. “Ho un legame profondissimo con Francesco – ha raccontato Giovannesi – Lo scelsi per “La paranza dei bambini” tra tantissimi provinanti, circa quattromila. Cercavo degli attori vicini alla realtà e che conoscessero le difficoltà di quel mondo, seppure non ci appartenessero personalmente.
Trovai Francesco in un esercizio commerciale di un quartiere difficile e scorsi immediatamente in lui il talento e l’autenticità. Ad oggi lo trovo estremamente cresciuto e maturo, sono orgoglioso del suo percorso – ed ha argomentato le differenze tra gli approcci tra il set precedente e quello di “Hey Joe” – Quando giravamo “La paranza dei bambini”, Francesco non leggeva nemmeno le scene.
Gli raccontavo cosa succedeva, gliele spiegavo a parole, e lui le riportava in scena con il proprio linguaggio, adattandole alla realtà che conosceva. Era un lavoro molto istintivo, quasi documentaristico, dove si creavano situazioni che lui poteva realmente vivere e restituire con autenticità. In “Hey Joe”, invece, era un’altra sfida. Era un film in costume, ambientato a metà degli anni ’70.
Il personaggio era distante da lui: un uomo adulto, padre di un bambino piccolo, cosa che Francesco non è nella vita reale. Ho pensato che questa sfida la potesse vincere e per questo ho desiderato fin dal primo momento che la parte andasse a lui. In quel caso ha lavorato come un attore vero e proprio, con copione, con preparazione tecnica, affiancato anche da un collega americano che non parlava italiano. Ha svolto un lavoro eccellente”.
La base di ogni film è sempre la scrittura, l’atto primigenio e creativo di una storia. Proprio per questo, il regista ha raccontato la sua visione assolutamente corale del redigere una narrazione, ricordando anche i passaggi che ha compiuto per riadattare cinematograficamente “La paranza dei bambini”, il romanzo di Roberto Saviano: “Io non scrivo mai da solo, lavoro sempre in gruppo. Ma per me la cosa fondamentale non è raccontare me stesso, bensì avere uno sguardo sugli altri.
Il processo di scrittura di un film è prima di tutto conoscere esseri umani diversi da te, capire le loro vite, i loro conflitti. È questo che poi dà forma ai personaggi e alla storia – ed ha continuato – Il film “La paranza dei bambini” è molto diverso dal romanzo, pur restando fedele al suo nucleo. Avevamo la fortuna di lavorare con lo stesso autore, Roberto, insieme a Maurizio Braucci.
Il romanzo è una narrazione corale sulla crisi del potere camorristico. Noi abbiamo deciso di spostare il punto di vista: raccontare i sentimenti dei ragazzi, la perdita dell’innocenza, la scelta di abbracciare o meno la criminalità. Il linguaggio cambia: la sceneggiatura dev’essere scritta per immagini, deve far vedere, non spiegare. Un cambiamento profondo quanto necessario” E per quanto concerne, invece, la sua esperienza alla regia della serie Sky “Gomorra”: “Ho fatto due episodi di Gomorra nel 2015, quando mi chiamò Stefano Sollima.
È un regista incredibile. Quel lavoro mi ha cambiato: è stata una vera lezione sull’action, sull’artigianato della messa in scena. Da allora, mi porto dietro quegli insegnamenti”.
Una produzione registica quella di Giovannesi che vede spesso come location delle trame la città metropolitana di Napoli, raccontata in diverse angolazioni e in termini evocativi che intendono stimolare al pubblico osservazioni di amplio respiro: “Credo che quando si parli di Napoli, non si parli solo della specifica città – ha chiarito le sue intenzioni – bensì di tutto il mondo, in quanto è una metafora universale, specialmente per quanto concerne “Gomorra” e “La paranza dei bambini”, in quanto si raccontano le avversità e il vis a vis con il male di chiunque nasca in una zona delicata e difficile del mondo – ed ha concluso – “Hey Joe”, al contrario, è un film racconto è specifico: Napoli è una città di frontiera, è lì che arrivano gli americani e inizia un certo tipo di società, quella che conosciamo oggi. Lì la città non è più solo sfondo: è protagonista storica, identitaria, e tutto ruota attorno a essa”.
Emanuela Francini
Articolo pubblicato il giorno 29 Giugno 2025 - 16:43