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ULTIMO AGGIORNAMENTO : 29 Giugno 2025 - 19:46
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Susy Del Giudice al Social World Film Festival di Vico Equense

L'attrice napoletana parla dei suoi esordi con LIna Wertmüller e poi l'esperienza con Paolo Rubini e infine quella col marito Giovanni Esposito nel film "nero"
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Presenti, tra gli ospiti della serata conclusiva della quindicesima edizione del Social World Film Festival di Vico Equense, gli attori napoletani Susy Del Giudice e Giovanni Esposito.

La kermesse cinematografica annualmente si pone l’obiettivo di lanciare dei prodotti audiovisivi impattanti nel mondo del sociale. I due attori, di fatti, hanno presentato il loro ultimo progetto che è stato candidato ai Nastri D’Argento, il film “Nero” per la regia di Esposito.

La trama è ambientata sul litorale casertano: durante una rapina al discount Mister Risparmio, Paride – detto il Nero – spara accidentalmente a un benzinaio. In preda al rimorso, si china sul corpo dell’uomo e lo sfiora: incredibilmente, il benzinaio torna in vita, ma Paride smette di sentire il tatto.

Tornato a casa, ad attenderlo c’è Imma, la sorella mentalmente instabile di cui si prende cura, anche se in modo goffo e solitario. Nel degrado di Castel Volturno, Paride e Imma sono soprannominati “i bianchi”, gli unici tra la comunità afrodiscendente del quartiere. Tra le presenze del passato c’è Alba, immigrata albanese con cui Paride aveva vissuto un amore mai davvero concluso.

La miracolosa resurrezione scatena il caos: nasce un culto improvvisato, quello della Madonna dei Detersivi, e si diffonde la voce che il Nero abbia il potere di guarire. Ma ogni guarigione comporta per lui un prezzo altissimo: la perdita progressiva di un senso. Tra superstizione, disperazione e speranza, Paride si ritrova braccato da una comunità che lo venera e lo consuma, mentre cerca disperatamente di salvare Imma e, forse, se stesso.

In merito alla preparazione del suo personaggio, Susy Del Giudice ha dichiarato: “Mi guardavo allo specchio, cercavo di trovare il modo giusto e la gestualità adatta per fare esprimere il personaggio di Imma tramite il linguaggio non verbale” ed in merito alla preparazione delle scene in sinergia con Giovanni Esposito, collega e marito: “Mi sono confrontata con Giovanni ed ha apprezzato la mia visione, abbiamo subito concordato una linea da seguire.

Nel nostro caso, però, non si smetteva mai di lavorare – ha spiegato – anche al ritorno a casa, cercavo di non abbandonare il personaggio e portarlo con me. Con Giovanni, a volte, capitava di confrontarsi sul film anche mentre cucinavamo gli spaghetti”.

La Del Giudice, dopo aver commentato il suo ultimo film, ha lasciato alle nostre pagine un’intervista in cui ha volto lo sguardo verso il passato, ripercorrendo e commentando i suoi esordi ed i suoi plurimi lavori nel mondo del teatro, del cinema e della televisione.

Partiamo dagli esordi, la prima a dirigerla è stata la grande regista Lina Wertmüller. Ci racconta un ricordo del set di “Pasqualino Settebellezze”? Come ha inciso quell’esperienza sulla sua vita e carriera e quali sono state le maggiori difficoltà?

Paradossalmente, posso dirti che le vere difficoltà le sto vivendo adesso. All’epoca ho avuto la fortuna di avere mio padre, che era suggeritore teatrale, una figura oggi impensabile sul set, ma allora ancora presente anche nel cinema. Fu proprio lui a portarmi con sé, e così iniziai. All’epoca, se fossero occorsi dei bambini, lui avrebbe proposto me e i miei fratelli. Eravamo in pochi, forse con meno concorrenza o con esigenze differenti. Ricordo ancora con immenso piacere quegli anni, così come ricordo con affetto la regista Lina Wertmüller: una donna straordinaria, che all’apparenza poteva sembrare dura ma che invece era dolcissima”

Ha un aneddoto particolare di quell’esperienza?

“Sì, ricordo una scena in cui la Wertmüller mi disse: ‘Susi, ora sentirai una parolina magica: azione. Quando la sentirai, ti giri e vedrai un uomo vestito di bianco, devi corrergli incontro’. Io mi preparai, poi sentii ‘azione’, mi voltai e vidi scendere quest’uomo. Disse solo: ‘A Carlo’.

Io, bambina, rimasi colpita. Fu un colpo di fulmine. E sai chi era? Era uno degli attori che ho poi ritrovato anni dopo ne “I Fratelli De Filippo”. Quando glielo raccontai, lui mi guardò e mi rispose con silenzio teatrale: ‘E adesso sei ancora innamorata di me?’”

Parliamo del set “I Fratelli De Filippo”. Come ha lavorato sul suo personaggio e com’è stato collaborare con il regista Sergio Rubini?

“Devo ringraziare Sergio Rubini, che mi ha offerto un ruolo bellissimo. Grazie a quel ruolo ho ricevuto una candidatura ai David di Donatello e ho vinto il Giacomo d’Oro. Sergio mi ha scelta dopo vari incontri e provini, ma prima ha voluto conoscere la mia esperienza. Gli raccontai che sono nata in teatro, ho lavorato con Mario Scarpetta e Luigi De Filippo, e quindi avevo avuto modo di conoscere Luisa De Filippo anche attraverso i loro racconti. Ogni giorno sul set dicevo: ‘Luisa, andiamo’.

Sentivo il bisogno di darle voce, come un riscatto. Era una donna che aveva dovuto rinunciare al proprio cognome, ma che tanto ha fatto per i figli. Sergio sapeva che quella verità io potevo portarla, e credo che lo abbia sentito”

Qual è il più grande insegnamento che il teatro le ha lasciato?

“L’emozione la devi sentire tu per primo. L’arte, se è fine a sé stessa, non vale nulla. Lavoriamo per emozionare gli altri, per scuotere gli animi. Dobbiamo essere strumenti, altrimenti non serviamo a nulla. Il teatro ti dà consapevolezza e cuore”

Quanto è importante, oggi, abbandonare l’ego e lavorare in squadra, specie in un progetto collettivo come una serie o un film?

“È fondamentale. Devi annientarti, svuotarti, fare tabula rasa. Solo così puoi iniziare a costruire un personaggio. Devi essere un foglio bianco, su cui scrivere con matita, perché serve la possibilità di cancellare e riscrivere. È questo che rende un attore camaleontico”

Parliamo dei suoi ruoli nella serialità italiana, in particolare Il Commissario Ricciardi. Com’è stato prestare il volto al personaggio di Maria Colombo?

“Maria Colombo è una madre degli anni ’30, molto diversa da mia madre. Una donna che viveva in una società chiusa, con paraocchi. Questi personaggi così lontani da me mi arricchiscono e mi rendono più consapevole”

Ha interpretato tanti ruoli diversi tra loro. Oggi preferirebbe avvicinarsi a personaggi più simili a sé o completamente distanti? E c’è un genere che non ha ancora esplorato e che le piacerebbe affrontare?

“Ogni volta, finito un lavoro, per me si ricomincia da capo. Che sia un personaggio simile a me o distante, per me è sempre come la prima volta. Torno bambina, come quando aspettavo Lina Wertmüller sul set”

Napoli è una città che continua a ispirare cinema, teatro, letteratura. Perché il potenziale narrativo partenopeo è così inesauribile?

“Perché Napoli è ancora da scoprire. Anche noi napoletani non la conosciamo fino in fondo. Tornata a Napoli dopo anni a Roma, mi sono detta: ‘Ma io non ti conosco’. E questa nostra esigenza la trasmettiamo anche a chi non è napoletano. Nei Fratelli De Filippo, Sergio Rubini mi ha raccontato cose su Eduardo, Titina e Peppino che io stessa, pur napoletana, non sapevo. Napoli è una miniera inesauribile. Ancora oggi, sui social, c’è chi ci chiede: ‘Ma ancora parlate di Napoli?’. Sì, perché c’è ancora tanto da dire. E noi napoletani abbiamo anche la pazienza di raccontarla ancora”

In conclusione, ricordo dei set con Paolo Virzì e Antonio Capuano?

“Virzì è un regista straordinario e anche un grande amico. Ricordo le spaghettate sul set, ma vorrei lavorare di nuovo con lui, in qualcosa di più significativo. Ha uno sguardo autoriale che può darmi tanto. Capuano? Un genio folle. Un visionario che ha ancora molto da dire, anche a 84 anni. Quando ha visto il film Nero, mi ha fatto un complimento che porto nel cuore. Spero davvero che il telefono squilli ancora con il suo nome o quello di Virzì. Ho ancora sete di lavorare con loro”.

Emanuela Francini

RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo pubblicato il giorno 29 Giugno 2025 - 19:46

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