Cinema

Sergio Rubini premiato al Social World Film Festival

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Il Social World Film Festival 2025 sarà ricordato come l’edizione più internazionale di sempre, ma anche come quella che, più di ogni altra, ha celebrato traguardi non solo professionali, ma profondamente umani e creativi.

Tra gli insigniti con il Premio alla Carriera, l’attore e regista Sergio Rubini, testimone di un pensiero lucido ed appassionato, maturato in quarant’anni di cinema fatti di incontri, trasformazioni, e soprattutto di un amore profondo per l’arte del racconto.

A spiegare la scelta di conferire il Premio alla Carriera a Sergio Rubini è stato lo stesso direttore del Festival, Giuseppe Alessio Nuzzo. Nel presentarlo come ospite di questa edizione, ha voluto sottolineare il forte legame tra l’evento da lui diretto e l’opera dell’artista pugliese:

«Quando abbiamo pensato al programma degli ospiti e dei premi del Social World Film Festival, ho riflettuto sulla tua biografia e mi sono ricordato con piacere dei tuoi quarant’anni di carriera. Ho voluto festeggiarli qui, insieme, anche perché uno dei tuoi primi film con Federico Fellini dà il nome alla nostra arena stampa. […]Per me sei un vero faro e Fellini è il regista a cui mi ispiro, e parlare della tua carriera è anche un’occasione per riflettere su come tutto è iniziato. »

Un tributo accolto con visibile coinvolgimento da Rubini, che si è definito onorato per un premio  “non scontato”. A rendere ancora più speciale il momento è stato l’incontro pomeridiano con i giovani nel corso di  una masterclass intensa e partecipata, in cui Rubini ha condiviso ampiamente le proprie idee, rivelando il suo spessore umano ancor prima che artistico. «Ti senti come un artigiano — ha raccontato — hai imparato delle cose, e poi arriva un ragazzo e gliele trasmetti. È come un dono».

Il legame tra Rubini e il Social World Film Festival si è rivelato ben più profondo del semplice riconoscimento alla carriera. Travalicando il premio, l’artista ha delineato una visione del cinema che rispecchia pienamente la vocazione sociale dell’evento: uno sguardo attento alla realtà, capace di restituirne le complessità attraverso il linguaggio del grande schermo.

Una tale corrispondenza d’intenti ha dato luogo a una domanda quasi inevitabile: «Questo è un festival sociale. Secondo lei, il cinema attuale presta attenzione alle voci marginali?»

La risposta di Rubini è arrivata chiara ed accorata: «Ce ne vorrebbe di più, sicuramente. Ma il cinema lo fa, perché racconta la società. Mi ha colpito un discorso di De Niro a Cannes: diceva che il cinema è inclusione, condivisione, senza confini. E ha ragione.

Nasce muto, va oltre le parole e le culture locali. Per questo i potenti lo temono: non è schierato, è solo cultura. E la cultura è di tutti. È anche responsabilità dello spettatore, però: dobbiamo dare luce a certi film. Oggi viviamo di playlist, e se certi titoli restano fuori, rischiamo di addormentarci, di lasciarci guidare da chi ci vuole passivi».

L’artista, con grande generosità, e assecndando il fluire de discorso, si è poi soffermato sugli aspetti essenziali della sua produzione, in particolare di quella biografica:

“ In narrazioni biografiche come quelle dedicate ai fratelli De Filippo o a Leopardi, quale pensa sia il giusto compromesso tra aderenza ai fatti e reinterpretazione?”

L’artista, con grande generosità e assecondando il fluire del discorso, si è poi soffermato sugli aspetti essenziali della sua produzione, in particolare quella biografica — da I fratelli De Filippo al lavoro su Leopardi — concentrandosi sulla centralità del racconto e sulla delicata questione del giusto compromesso tra aderenza ai fatti e libertà interpretativa. Rubini ha chiarito come, in entrambe le opere, abbia perseguito un’unica idea guida: restituire autenticità ai personaggi raccontati, liberandoli dalle sovrastrutture ereditate dalla tradizione per arrivare alla loro essenza più profonda.

Secondo la sua visione, per accedere a una verità autentica, è talvolta necessario compiere un “atto di tradimento narrativo”, come dimostra la scelta di eliminare la gobba del poeta di Recanati per concentrarsi sul pensiero.

Un atto simbolico, che riflette la volontà di far emergere la voce interiore del poeta, spogliata dell’iconografia ormai superata. In questo modo, Rubini restituisce alle figure storiche e letterarie una sorprendente attualità, rendendo concetti apparentemente lontani quanto mai necessari oggi. Il riscontro del pubblico — ed in particolare dei più giovani — ha confermato la forza e la necessità di questo approccio.

Per superare l’adesione scrupolosa ai dettagli storici, Rubini ha dichiarato di essersi ispirato al celebre Amadeus di Miloš Forman, un film capace di restituire lo spirito e la visione di Mozart pur senza seguire fedelmente la cronologia dei fatti.

“Credo che a volte bisogna “tradire” per raccontare la verità. Anche con Leopardi, ad esempio, gli ho tolto la gobba, ma ho cercato di raccontare il suo pensiero, che è la cosa più importante. Il mio riferimento è “Amadeus” di Forman: un film che non racconta Mozart nei dettagli storici, ma riesce a trasmetterne l’essenza, la sua visione della musica e del mondo. E ha reso la sua musica popolare. È lo stesso che ho cercato di fare con Leopardi.”

Un lavoro, quello del cineasta, gremito di soddisfazioni e articolato da un misto di creatività e di risultati artistici spesso acclamati dal pubblico come prodezze. Un lavoro che, però, non va idealizzato e di cui non va fatta una narrazione impari rispetto tutte le angolazioni celanti della realtà dei fatti.

L’arte, così come la vita, è complessa e altalenante e proprio per tale motivazione, il regista ha parlato a cuore aperto agli studenti delle masterclass e alla stampa: “Questo è il mestiere dei falliti – ha tacciato con la pacata sincerità che lo contraddistingue -, siamo tutti bravi a vincere ma il vero banco di prova è perdere. Dalla perdita e dal fallimento nasce tutto: questo mestiere serba grandi soddisfazioni e altrettante frustrazioni, tanti consensi ma anche numerose porte sbattute in faccia miste a telefoni che non squillano. Bisogna farci conti. Perdere è la base per vincere in questo lavoro”.

Parole schiette e ficcanti che fanno comprendere il grande divario che c’è tra le velleità ed i sogni artistici e le esigenze della vita quotidiana, rafforzate dal racconto intimistico del suo rapporto con suo padre: “Mio padre era un ferroviere. Da ragazzo ho avuto un rapporto conflittuale con lui ma crescendo l’ho risolto con successo. Amo mio padre, ho un ricordo bellissimo, nel tempo l’ho capito. Lo amo per le sue irresolutezze, per le sue fragilità che lo hanno reso autentico: era afflitto perché sognava il mondo del cinema e al contempo svolgeva un lavoro che non amava.

Quella passione, però, non l’ha mai abbandonata, l’ha inseguita secondariamente. Una scelta debole? Assolutamente no, aveva un coraggio enorme. Ci vuole forza a non abbandonare le proprie passioni nonostante le delusioni e gli imprevisti della vita”. Un inno a tutti gli aspiranti o i professionisti del settore che versano nel precariato e non riescono a rendere la loro passione un lavoro a tutti gli effetti, dovendosi sacrificare e combattendo ogni giorno con le unghie e con i denti per non abbandonare il loro sogno.

Un bagno di realtà e di umiltà quello di Sergio Rubini che ha continuato: “Non credo nelle persone che affermano ciò che sono. Credo, invece, in chi afferma ciò che avrebbe voluto essere. Partiamo integri ma poi mutiamo nel corso della vita, poiché siamo la continua mediazione, la perpetua rielaborazione ed il risultato di un compromesso tra ciò che sogniamo e ciò che ci accade”.

Ha poi concluso dando un consiglio ai più giovani: “Unite le vostre forze, coniugate e corroborate le intelligenze e le creatività in questo ambiente difficile. Instaurate delle amicizie basate sulla condivisione di una passione comune, innanzitutto. Condividete. Dalla condivisione può nascere qualche lavoro interno se dall’esterno non arriva. Create le occasioni. Solo così potete smuovere qualcosa”.

 Annamaria Cafaro

Emanuela Francini

RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo pubblicato da Redazione il giorno 30 Giugno 2025 - 15:43
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  • L'articolo è molto interessate e mostra come il cinema possa essere un veicolo di cambiamento sociale. Sergio Rubini ha ragione quando dice che il cinema è inclusione, ma purtroppo ci sono ancora molte barriere da superare per dare voce a tutti.

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