Per il Tribunale di sorveglianza di Milano “rispetta la Convenzione dei Diritti dell’Uomo”
Il Tribunale di sorveglianza di Milano ha accolto il reclamo presentato da un detenuto sottoposto al regime di 41 bis presso il carcere di Opera, stabilendo che egli ha diritto a colloqui con i familiari anche in videochiamata.
Secondo quanto affermato dal magistrato, “il rispetto della Costituzione e della Convenzione dei diritti dell’uomo rende necessario riconoscere” anche “al detenuto sottoposto al 41 bis il diritto di effettuare colloqui in videochiamata con i propri familiari in sostituzione dei colloqui in presenza, secondo modalità individuate dall’Amministrazione penitenziaria e nei limiti derivanti dal numero di postazioni”.
Il detenuto lamentava l’impossibilità di comunicare con la moglie, residente in Sicilia e che non vede da anni, e con i due figli, anch’essi reclusi in altri istituti. Il carcere di Opera, opponendosi, aveva chiesto il rigetto del reclamo, sostenendo che si trattasse di una richiesta dettata da un “mero interesse personale non attinente alla violazione di diritti soggettivi”.
La direzione penitenziaria aveva inoltre sollevato “controindicazioni di natura organizzativa”, spiegando che le salette utilizzate per le videochiamate coincidono con quelle dedicate alle udienze penali in videoconferenza, e che l’elevato numero di detenuti e le poche postazioni disponibili rendono complessa la gestione.
Tuttavia, la giudice Beatrice Secchi ha richiamato la necessità di un equilibrio tra le esigenze del regime di carcere duro e i diritti dei detenuti: resta infatti “la necessità di realizzare un corretto bilanciamento fra le esigenze proprie del regime 41 bis e quella di garantire l’effettività del diritto a conservare i legami familiari attraverso la fruizione dei colloqui”.
Il diritto al colloquio con i familiari, ha ricordato la giudice, è tutelato dalla Costituzione attraverso gli articoli 29, 30 e 31, nonché dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il regime 41 bis, ha sottolineato ancora Secchi, è legittimo “solo se funzionale non già ad assicurare un surplus di punizione per gli autori di reati di speciale gravità, bensì esclusivamente a contenere la persistente pericolosità di singoli detenuti”, a condizione che le restrizioni non risultino «sproporzionate o tali da vanificare del tutto la funzione rieducativa della pena”.
Dal 2022, i colloqui visivi da remoto — introdotti in via emergenziale durante la pandemia — sono rimasti in vigore per i detenuti nei circuiti di media e alta sicurezza. Il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap) utilizza una rete intranet protetta, che garantisce sicurezza, impedisce intrusioni esterne e consente la registrazione e l’interruzione dei colloqui, se necessario.
Alla luce di questo quadro, il diritto ai colloqui in videochiamata, secondo il Tribunale, “deve essere riconosciuto non solo nei casi in cui il familiare non possa effettuare il colloquio in presenza per ‘età o malattia’, ma anche per differenti motivazioni pure facilmente documentabili: non c’è alcun ragionevole motivo per imporre al familiare di compiere lunghi viaggi per recarsi, ogni volta, nell’istituto penitenziario ove si trova il detenuto, spesso attraversando l’Italia e sostenendo costi non irrisori”.
Quanto ai figli, “pacificamente il diritto ad effettuare colloqui in videochiamata deve essere riconosciuto quando anche il familiare risulti detenuto, sempre che ovviamente il colloquio in presenza sia stato autorizzato”.
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