Un filo invisibile lega le crude confessioni del nuovo album di Napodano, un disco che non si scusa per la sua nuda verità e non ha tempo per le ipocrisie musicali di oggi. Oggi, venerdì 9 maggio, irrompe sul mercato “Storie di una sera… con poca gente” (StreetLabel Records), un album che trasforma pensieri notturni in canzoni spietatamente oneste, lontano dalle luci abbaglianti del mainstream e dalle melense ballate che infestano le classifiche. Nato come seguito di “Non ci sono + i cantautori”, questo lavoro di Napodano è un pugno allo stomaco dell’ipocrisia quotidiana, raccogliendo appunti sparsi da una serata qualunque, magari con un bicchiere che non sa se è mezzo pieno o mezzo vuoto. È la verità cruda che conta, senza fronzoli o false speranze, proprio come la vita vera che preferisce l’ironia tagliente alla melassa sentimentale.
Un Viaggio nelle Fragilità
Il disco si apre con “Il fuoco e la neve”, un ingresso brutale in un mondo privato dove Napodano espone le sue crepe con una grazia che disarma. Poi arriva “Di martedì”, un’esplosione di rabbia lucida contro la superficialità imperante, un attacco feroce a un’esistenza che corre a tutta velocità senza meta, lasciando i più a chiedersi cosa diavolo stia succedendo.
Brani che Colpiscono al Cuore
Ogni traccia è un tuffo nella complessità dell’esistenza, come “Cammino sui muri”, un valzer che invita a fermarsi tra le rovine di ciò che non si osa dire. “Niente di speciale”, già in rotazione radiofonica, mescola amore e critica sociale in versi acuti e disincantati, perfetti per chi ha smesso di credere alle favole ma non rinuncia a un po’ di bellezza grezza. E poi “Ciao”, una stretta di mano ironica dopo il caos di un amore fallito, mentre “La verità” gioca con i cliché di Sanremo lanciando una frecciatina velata – e un po’ irriverente – con una dedica speciale a Carlo Conti, il direttore artistico del Festival.
“Buonanotte Luna” diventa una sorta di ninna nanna ribelle, vista dagli occhi cinici di un padre che immagina un mondo meno corrotto per la figlia. Il tutto si chiude con “Il filo dell’aquilone”, un finale sospeso e malinconico che evita i soliti happy ending, preferendo lasciare l’ascoltatore con pensieri che aleggiano come fantasmi. Con la sua voce graffiata e senza filtri, Napodano dimostra ancora una volta di essere un cantautore che non urla, ma fa risuonare parole taglienti. “Scrivere e cantare senza filtri, senza dover piacere a tutti, senza cedere a regole di mercato. È questo il vero privilegio – racconta Napodano – non volevo un album perfetto, volevo un album mio. E così è stato.”
Articolo pubblicato il giorno 9 Maggio 2025 - 17:49