Non è stato un lunedì qualsiasi. Napoli si è svegliata tardi, con le occhiaie della notte ancora disegnate sul volto, ma con una convinzione nuova, profonda, quasi spiazzante: lo scudetto è lì, a un passo. Il pareggio al Tardini sembrava la fine del sogno, un punto che sapeva di resa. Ma poi, il 2-2 della Lazio a San Siro, e tutto è cambiato. In un attimo, la città è passata dal silenzio della delusione all’urlo di speranza. Il cuore ha ricominciato a battere forte. E Napoli ha ricominciato a crederci davvero.
“Sembrava una condanna a non sognare mai fino in fondo. Poi è arrivato quel gol di Pedro e si è riaccesa la vita”, racconta Simone, 35 anni, commerciante, ascoltando la radio nel suo negozio tra un cliente e l’altro. In sottofondo, le voci raccontano del +1 sull’Inter e della possibilità concreta, ormai reale, di vincere. “Non è ancora fatta”, ammette, “ma questa squadra ci ha insegnato a resistere. Conte ci ha rimesso in piedi”.
E la notte si è trasformata in qualcosa di più grande di una festa. È stata una corsa collettiva, fatta di fuochi d’artificio, motorini lanciati sul lungomare, caroselli spontanei a Chiaia, botti a Forcella, bandiere sventolate nei Quartieri Spagnoli e nei vicoli del centro antico. Turisti e napoletani uniti, stretti davanti ai tavolini dei bar, seduti sui marciapiedi dei ristoranti, gli occhi incollati ai telefoni e alle tv, il cuore inchiodato al +1.
L’epicentro della notte, però, è stato Capodichino. Lì dove la squadra è atterrata alle 1.39. Lì dove migliaia di persone, arrivate anche dai comuni della provincia, hanno atteso in silenzio e in festa. “Non era una festa. Era un ringraziamento”, spiega Lucia, 32 anni, da Casoria, venuta col marito Franco. “Abbiamo visto passare quel pullman e abbiamo capito che non siamo soli. Ci hanno dato tutto. Ora tocca a noi crederci e sostenerli fino all’ultimo”.
Alle 2.00 il pullman ha attraversato due ali di folla, scortato da scooter, fumogeni e mani alzate. Pochi cori, pochi slogan. Solo emozione, occhi lucidi, e un lungo applauso. “Non ho detto niente a mio figlio”, dice Salvatore, “l’ho solo portato lì. Doveva vedere cos’è Napoli quando ama”.
Tra la folla è comparso anche Scott McTominay. Il centrocampista scozzese, a bordo del suo suv nero, è stato riconosciuto e acclamato come uno di famiglia. Si è fermato, ha sorriso, ha stretto mani. Ha capito tutto. “Era uno di noi”, dice Luca, 16 anni, che ha immortalato il momento con il telefono. “Ha capito cosa significa giocare qui”.
Oggi Napoli è attraversata da una calma irreale, quasi febbrile. Come chi sa di essere sul punto di vivere qualcosa di enorme, ma teme di svegliarsi troppo presto. “È come se fossimo a un passo dall’abbraccio, ma col cuore che batte ancora troppo forte”, sospira Maurizio, professore in pensione. “Se dovevamo soffrire per vincere, meglio così. Questo scudetto ha il nostro volto”. Ora l’ultimo ostacolo si chiama Cagliari. Arriverà al Maradona per l’ultima sfida. Napoli lo aspetta con il fiato sospeso, ma pronta. Perché stavolta il sogno sembra davvero più vicino che mai.
Modificato in data 19 Maggio 2025 - 11:44 per correzione refuso
Articolo pubblicato il giorno 19 Maggio 2025 - 12:07