Napoli – Salvatore ‘Toto’ Giuliano, figlio del boss Luigi Giuliano, detto ‘o Re, ripercorre la sua vita tra lusso, violenza e ribellione in un podcast che svela i retroscena di una delle famiglie più potenti della Camorra campana.
“Ho conosciuto mio padre all’età di 7 anni. Mi ruppe il giocattolo nuovo, una motocicletta con la sirena della polizia”. Così inizia il racconto di Salvatore ‘Toto’ Giuliano, figlio del celebre boss della Camorra Luigi Giuliano, che per la prima volta, a 40 anni, decide di aprire il cassetto dei ricordi.
Lo fa nel podcast La Tigre, prodotto da Chora Media, un viaggio intimo e crudo nella storia di una delle famiglie più influenti del crimine organizzato in Campania dagli anni ’70 ai ’90.
Intervistato nella serie scritta da Floriana Bulfon e Gianluca Di Feo e narrata da Mario Calabresi, Toto Giuliano ripercorre la sua infanzia segnata dalla violenza e dal peso di un cognome che lo ha costretto a vivere lontano da Napoli.
“Avevo una motocicletta della polizia, accesi la sirena e mio padre scese con una mazza, diede un calcio alla moto e ruppe tutto. Mi ha dato il benvenuto così, a Forcella”, racconta.
Una vita in gabbia, come quella del cucciolo di tigre, Simba, regalatogli dal padre e immortalato con lui nella foto di copertina del podcast. Otto puntate che ripercorrono la sua storia, dalla ribellione alla vita mafiosa ai traumi mai confessati.
“È una sfida con me stesso, un atto liberatorio. Quando guardo le foto della mia infanzia, vedo un bambino in difficoltà. Vivere in certi contesti ti segna, ti porti dentro paure e angosce che non racconti a nessuno. Oggi, a quarant’anni, ho gli strumenti per liberarmene”, spiega Toto.
Il podcast inizia con il ricordo del primo incontro con il padre, quando Toto, a 7 anni, tornò a vivere con i genitori dopo essere stato affidato alla zia Luisa, che considera “come una madre”.
La vita a Forcella, nel palazzo di vico Scassacocchi, era tutt’altro che normale: “Più che una casa era un bunker, piena di telecamere a circuito chiuso, tutta in marmo”. Una residenza lussuosa, lavata ogni giorno con acqua di colonia, simbolo del potere e della paranoia di una famiglia sempre sotto scacco.
Non mancano i riferimenti alla villa di Palata, in Molise, dove i Giuliano furono “esiliati” dopo le stragi degli anni ’90 e poi portati via dalla Commissione Antimafia. Toto ricorda anche i momenti più stravaganti, come quando andava in giro per Napoli con un cavallo da corsa acquistato per 70-80 milioni di lire.
Tra i ricordi più vividi, spicca la figura di Diego Armando Maradona, legato ai Giuliano da un rapporto di protezione e amicizia. “Per me era normale vederlo in casa”, racconta Toto, ricordando quando il fuoriclasse argentino, ospite della famiglia, prese una palla da biliardo e iniziò a palleggiare, salendo persino una rampa di scale. Una delle immagini più iconiche è quella di Maradona nella grande vasca a forma di conchiglia, dove Toto e sua sorella giocavano spesso.
Il rapporto tra il Pibe de Oro e i Giuliano, in particolare con Carmine, zio di Toto, fu al centro di polemiche. La famiglia offrì a Maradona protezione, lusso e vizi, diventando per lui un punto di riferimento durante gli anni napoletani.
Il podcast si chiude con la canzone Figlio d’o rre, scritta dal rapper Lucariello, da sempre impegnato nella lotta alla Camorra. Una sigla che racchiude il senso della storia di Toto Giuliano: un figlio che cerca di liberarsi dal peso di un cognome e di un destino imposto.
La Tigre non è solo un racconto personale, ma un affresco di un’epoca, di una città e di una famiglia che ha segnato la storia della criminalità organizzata in Italia. Un atto di coraggio che svela, per la prima volta, il volto umano di chi ha vissuto nell’ombra del potere mafioso.
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