La morte di Giovanna Pedretti, la ristoratrice trovata morta ieri, ha scatenato un dibattito sul ruolo dei social media e della ricerca della verità.
La figlia di Giovanna Pedretti, Fiorina D’Avino, ha accusato Selvaggia Lucarelli, la blogger che ha definito “chiaramente falso al primo sguardo” il post che ha portato tutti i giornali a raccontare la storia della ristoratrice, di aver contribuito alla sua morte con le sue accuse.”L’accanirsi è pericoloso. Grazie cara ‘signora’ per aver massacrato per via mediatica la mia mamma. Cerchi pure la sua prossima vittima”.
Lucarelli si è difesa, spiegando che non c’è stata nessuna gogna mediatica e nessun ‘odio social’, ma solo “la ricerca della verità” e “un asciutto debunking”.
Anche Lorenzo Biagiarelli, il compagno di Lucarelli che aveva rilevato alcune contraddizioni tecniche nella recensione postata da Giovanna Pedretti, si è difeso, respingendo le accuse di ‘odio social’ e sostenendo che la morte della donna è stata causata dai suoi problemi personali.
Critiche sono arrivate anche al Tg3 per un’intervista a Giovanna Pedretti nella quale le era stata chiesta conferma della veridicità della recensione.
Insomma, il caso di Giovanna Pedretti ha messo in luce le complesse implicazioni etiche della ricerca della verità sui social media.
Da un lato, è importante che le notizie false vengano smentite, per evitare di diffondere disinformazione e danneggiare le persone.
Dall’altro lato, è importante farlo in modo responsabile, evitando di alimentare l’odio e la violenza online.
In questo caso, è difficile dire con certezza se la morte di Giovanna Pedretti sia stata causata dalle accuse di Lucarelli e Biagiarelli.
Tuttavia, è chiaro che il loro comportamento ha contribuito a creare un clima di ostilità nei confronti della donna, che potrebbe aver avuto un ruolo nella sua decisione di togliersi la vita.
È un episodio che deve farci riflettere sul modo in cui usiamo i social media e sulla responsabilità che abbiamo nei confronti degli altri.
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