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IL PROCESSO

Vittima innocente della camorra: mandanti e killer vogliono risarcire. La famiglia rifiuta

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Domani davanti al giudice per l’udienza preliminare Valentina Giovanniello del Tribunale di Napoli. Compariranno Salvatore Cammarota e Carlo Nappi: due esponenti del clan Polverino accusati di essere il primo il mandante e il secondo uno degli esecutori dell’omicidio del 26enne innocente Giulio Giaccio avvenuto il 30 luglio del 2000.

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I due però, come anticipano Il Mattino e l’edizione di Napoli di Repubblica in edicola hanno presentato una proposta di risarcimento alla famiglia della vittima che è stata respinta al mittente. Nel dettaglio Cammarota ha proposto 30 mila euro in assegni circolari e  la cessione di un appartamento e di un box a Marano del valore complessivo di 120 mila euro mentre Nappi invece ha offerta 30 mila euro in assegni circolari.

L’avvocato penalista Alessandro Motta per conto della famiglia della giovane vittima innocente ha risposto via pec: “In qualità di Rosa Palmieri, Rachele e Domenico Giaccio, preso atto che gli assistiti hanno inteso comunicarmi la loro decisione di non accettare tale offerta, dal momento che essi confidano esclusivamente nelle determinazioni dell’autorità giudiziaria, all’esito del processo penale de quo. Per questo motivo, l’offerta “reale” formulata non può trovare accoglimento”.

Cold case di camorra risolto grazie ai pentiti

Quello che è stato un cold case di camorra per 23 anni è stato risolto grazie alla testimonianza dei pentiti Roberto Perrone (ex uomo di fiducia del boss Giuseppe Polverino o barone), Giuseppe Simioli e Biagio Di Lanno. I tre hanno raccontato che si trattò di un clamoroso errore di persona.

Era il 30 luglio del 2000, in zona Contrada Romani a Pianura, quartiere ovest di Napoli, quando l’operaio 26enne venne prelevato e sequestrato da finti poliziotti. Ha raccontato infatti il pentito Roberto Perrone: “Dovevamo risolvere un affare di famiglia, per la volontà di Cammarota di uccidere un tale (si chiamava “Salvatore”), per le avance alla sorella”.

“Sei tu Salvatore?”, gli chiesero. E lui rispose: “No comandante mi chiamo Giulio, sono un operaio, i miei genitori lavorano, siamo persone oneste…”.  Non gli credettero. Secondo il racconto di Perrone, a uccidere Giulio fu un soggetto oggi a piede libero.

“Non ti preoccupare, è solo un semplice controllo, devi venire con noi in caserma.In auto – spiega il pentito – gli disse di abbassare la testa sulle gambe, per poi sparargli alla nuca”. Poi il corpo del ragazzo fu sciolto nell’acido e ci fu addirittura chi polverizzò i suoi denti a martellate, per far sparire ogni traccia della sua vita. Ventitrè anni dopo quell’orrore spiegano oggi i parenti: “Chiediamo giustizia per chi ha spento il sorriso di Giulio”.


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