Teatro

Marina Abramovic a Napoli, ‘Seven Deaths’ nel mito di Maria Callas

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Sette morti e più viva che mai: Marina Abramović porta a Napoli l’amata Maria Callas, dal palco del San Carlo alla mostra negli spazi di Lia Rumma, gallerista che con lei collabora da un ventennio tenendo saldo il rapporto profondo con una città ‘passionale e vulcanica’.

 

Dopo il debutto italiano di ‘7 Deaths of Maria Callas’, prima opera lirica scritta, diretta e interpretata dalla regina della performing art, il progetto prosegue quindi con la nuova personale, visitabile fino al 2 luglio. E questa volta Callas, con la sua voce, c’è.

Il percorso si apre nella saletta cinema con la videoistallazione ‘Seven Deaths’, film d’arte di circa un’ora che ha fatto da sfondo al live sancarliano. Accanto alla performer ( in costumi strepitosi di Riccardo Tisci) che diviene Tosca, Carmen, Violetta da La Traviata, ChoCho-San da Madama Butterfly, Lucia di Lammermoor, Norma e Desdemona dall’ Otello, c’è l’attore Willian Defoe.

Ma a differenza di quanto avvenuto a teatro dove si sono esibite belle voci contemporanee, in sottofondo ci sono le interpretazioni rese immortali Callas. E l’identificazione, anche fisica, tra le due Divine, sembra ancora più intima.

‘Le donne soffrono in eterno per amore e in eterno muoiono in tanti modi. E’ un tema che, a me come donna, sta a cuore. Il mio lavoro è molto emozionale, tocca l’amore, la morte, il dolore, la sofferenza, la perdita, il tradimento: temi di cui è fatta l’arte” è il manifesto dell’artista di origine serba.

Ed è su questo fil rouge che s’inseriscono le altre opere ,fotografiche: Artist Portrait with a Candle(B), 2012; Holdingthe Skeleton, 2008/2016; il dittico Portrait with Skull (EyesClosed), 2019. E per finire la più recente TheJump, 2022, in cui l’artista impersona Tosca nel gesto finale, presente nel video con un lento e impressionante volo da un grattacielo, Castel Sant’Angelo contemporaneo.

La mostra ci ricorda insomma come l’artista abbia spesso utilizzato lo scheletro come suo ‘compagno di viaggio’, o elementi come il teschio e la candela per esorcizzare anche la propria mortalità in un gioco tra Eros e Thanatos. ‘L’amore diventa odio, l’odio diventa amore’, si legge sulle pareti bianche dell’allestimento, frasi scritte da Abramović.

‘Non è pericoloso saltare, non è pericoloso cadere. L’impeto dell’aria, del sangue nelle vene. Hai tempo per cadere, tempo per amare.Tu voli e basta, amore”. Tra tanto dolore in mostra c’è anche una parte ‘che cura’: l’installazione BlackDragon (1990) composta da cristalli di quarzo montati a parete che invitano chi si avvicina a interagire con loro per sentire l’energia che emanano.

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